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Cronache di un’universitaria. Scontro generazionale





di Daphne Squarzoni


«L’altro giorno ero a pranzo dalla nonna», comincio a raccontare ad Emma mentre prendiamo un caffè alle macchinette. In questi mesi ho cominciato a lavorare in portineria all’università perché non sono per niente pronta a lasciar andare questo capitolo. «E mi ha detto che i giovani non sono più disposti a sacrificarsi per la famiglia, che siamo uno stato di vecchi e noi ci rifiutiamo di aiutare facendo bambini eccetera eccetera» dico.

Emma alza gli occhi al cielo. «Anche mia nonna dice queste cose. Io non ci discuto nemmeno perché mi sembra che non vogliano né possano capire», risponde.

Sbuffo. «Capire che non siamo disposti a vivere infelici per i figli? Che se lo stato non mi permette di mandare mio figlio all’asilo non voglio rinunciare ad un lavoro che amo? Capire che non siamo disposti a diventare medici perché mancano medici né a cambiare lavoro perché ci impongono di fare qualcosa di “utile” che magari ci rende tristi?», domando.

«Siamo davvero egoisti per questo? Perché cerchiamo di essere felici e siamo disposti a fare la valigia e cambiar stato per questo?».

Emma scuote la testa. «No. Anche perché c’è tutto questo puntare il dito verso di noi, ma se siamo in questa situazione è per scelte che hanno fatto loro», mi fa presente.


Mi torna in mente una discussione avuta in aula con il professor M. che ci stava sgridando per essere una generazione che non è in grado di vivere il tempo storico. Diceva che non facciamo nulla per il mondo in cui viviamo, che ci crogioliamo nei social e ci rifiutiamo di essere cittadini.

«E poi che possiamo fare se non ci lasciano spazio di movimento?», chiede Emma. «Tutte le posizioni occupabili sono occupate da una generazione diversa che prende decisioni pensando al presente perché tanto loro in un futuro non saranno qui. E poi siamo noi gli egoisti, noi che non abbiamo il coraggio di fare figli o di farci sottopagare».

Alzo le spalle. «Stiamo tutti parlando solo per cliché», sospiro. «Certo, sono tutte cose vere: è vero che lo stato dovrebbe investire di più nel futuro e quindi dare possibilità ai giovani. Ma è vero anche che non può smettere di occuparsi della sua popolazione (di vecchi) e le risorse sono limitate».

Emma annuisce. «Però non è giusto che ci facciano pesare le nostre scelte. Anche perché, se un genitore è frustrato un figlio è infelice» dice.


Questo è vero in un modo quasi drammatico. Ed è vero che nella vita non voglio buttare nel cesso le mie passioni e aspirazioni perché lo Stato non mi permette di essere una donna E una madre ma solo una madre O una donna. È vero che se esci dal mercato del lavoro ci rientri difficilmente. Ed è vero che in Italia più del 40 % delle donne lascia il lavoro (e non lo riprende) per i figli. Come è vero che le possibilità di carriera diminuiscono se una donna ha figli, ma non se un uomo ne ha. Se il lavoro nobilita l’uomo perché dovrei rinunciarci? E al tempo stesso, perché dovrei rinunciare ad avere figli se li volessi? Quindi, in definitiva, perché dovrei restare in uno stato che mi costringe a scegliere così dolorosamente? E perché dovrei sentirmi in colpa se vado da qualche parte in cui mi pagano di più e mi permettono di lavorare e avere figli? «Ma voi dovete cambiare le cose» direbbe mia nonna. E come? Come facciamo a cambiare le cose se le posizioni di chi può prendere decisioni sono tutte occupate da chi ai giovani ci pensa troppo poco?


Ultimamente mi fanno tutti pressione per mettermi a lavorare ad una tesi che non riesco a scrivere. Non ci riesco perché la tesi è la fine dell’università e ho una paura terribile che là fuori non ci sia nulla per me. Ho paura che per lavorare e per vivere dovrò prendere un aeroplano e lasciare un posto che amo e una lingua che sento mia. Ho paura che, per non farlo, dovrò piegarmi a delle regole sbagliate. «È facile puntare il dito contro le nostre scelte. È facile dire che ce ne andiamo via perché siamo egoisti, che non facciamo figli perché non siamo disposti al sacrificio», comincio a dire. «Più difficile è vedere cosa ci costa dover andare via e rinunciare ad una famiglia perché non ci sentiamo di poterla mantenere». Emma annuisce. Ma se proviamo a dirlo, i nostri sentimenti vengono costantemente invalidati dietro un «Avere figli è sempre un rischio, voi non volete correrlo perché non volete fare sacrifici» oppure «Cambiare le cose è sempre faticoso, voi non volete fare fatica». E allora che dobbiamo dire? Saremo noi il problema, e visto che siamo un tale disturbo forse è meglio che leviamo le tende.


«Sai cosa mi da davvero fastidio?» chiedo.

Emma alza lo sguardo «Cosa?»

«Mi dà fastidio che tutto questo mi stia consumando pian piano la speranza che le cose possano andare meglio. Io ci provo a coltivarla e a darmi da fare perché qualcosa cambi. Poi mi vengono a dire che sono egoista, come se non stessi facendo quattro lavori gratuitamente, come se non mi stessi sbattendo quanto più possibile», sbotto. «Mi vengono a dire di finire questa stupida tesi e non provano nemmeno a capire che il mondo che mi hanno lasciato mi spaventa al punto da non riuscire a scrivere una riga». Emma annuisce. «Se sono tanto bravi a vivere perché non risolvono loro tutto questo casino invece di aspettarsi qualcosa da noi! Che poi anche questo noi-loro mi urta terribilmente perché su questo pianeta ci dobbiamo stare tutti insieme e la società dobbiamo costruirla tutti insieme». Getto via il bicchierino del caffè.

«Sinceramente, Clio, non vale la pena di prendersela. Cerca di fare quello che ti fa stare bene: se vuoi andare via, vai via. Se vuoi metterci un anno a fare la tesi, fallo. Alle volte, mettere noi stessi prima degli altri non è egoismo, ma solo sopravvivenza».

Alzo le spalle. «Va be’ torno al lavoro», la saluto. «Ci vediamo venerdì per la cena con gli altri».

Emma fa ciao ciao con la mano. In qualche modo, il riferimento a questo nostro appuntamento di venerdì mi ha alleggerito il cuore: comunque sia non sono da sola in tutto questo. Non sono da sola a cercare di ritagliarmi un buco in questo mondo. E non sono da sola nemmeno a dover scrivere questa tesi tanto in salita.



 


«Episodio un po’ arrabbiato», mi fa notare Raf.

«Be’? Sono umana come tutti e a volte sono triste, a volte mi arrabbio e a volte non sopporto proprio nessuno», mi difendo incrociando le braccia. «Mi sentirei un po’ ipocrita a scrivere solo cose belle e buone, visto che il mondo è più complesso di così».

Raf annuisce. «Non sopporti nemmeno me?»

«Alle volte», gli rispondo alzando il mento. «Ma decido di portare pazienza perché ti amo e voglio averti nella mia vita. Anche quando non ti sopporto. Anzi, forse proprio perché ti voglio quando non ti sopporto so di amarti per davvero e non perché i miei ormoni mi stanno drogando di ossitocina».

Raf ride. «Hai visto che lo hai lo spirito di sacrificio?», mi prende in giro.

Gli faccio la linguaccia e lui mi prende per mano. Questo mondo mi sembra meno brutto così.



 


Daphne Squarzoni, nata nel 1999, laureata in Studi Storici e Filologici, si sta specializzando in Filologia e Critica Letteraria. Dal 2019 porta avanti numerosi progetti didattici nelle scuole

elementari insieme all'associazione Siderea e alla casa editrice Isenzatregua, con cui collabora attivamente e con cui ha pubblicato nel 2022 Piccolo diario della guerra europea del 1914-1915 e nel 2023 Epsodi.




 

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