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Falena

  • Immagine del redattore: Redazione TheMeltinPop
    Redazione TheMeltinPop
  • 16 feb
  • Tempo di lettura: 7 min



di Giusy Laganà


Si racconta, nelle notti più buie e gelide, che il volo delle falene è come il battito incerto di un cuore innamorato o di un corpo colmo di desiderio, attratto da una luce a cui, pur sapendo che brucia, non riesce a rinunciare.

C’era un tempo che sapeva di casa, ma quella casa non c’era più.

Imma Soledad camminava lungo la strada deserta, i passi che risuonavano nell’aria fredda della sera. Il vento le scompigliava i capelli, ma non riusciva a sentire freddo. La sua mente era altrove, lontana, nei ricordi che ancora la tormentavano.

Il ricordo della casa era una prigione. Ogni suo angolo era segnato dalla paura, ogni stanza riempita di silenzi che urlavano. Una sera, quando tutto sembrava crollare intorno a lei, aveva trovato il coraggio. La porta era rimasta aperta per un attimo, come un invito a scappare. Aveva preso la giacca e, strappate via le sue paure, senza guardarsi indietro, si era avventurata nel buio.

I giorni trascorrevano lenti, pesanti, come ombre che la seguivano senza mai abbandonarla. Le risate arrivavano lontane, echi che non riuscivano mai a raggiungerla. Da sempre, guardava la vita da un angolo stretto, un angolo che non aveva scelto, in cui si sentiva intrappolata e senza via di fuga. Un angolo del letto, obbligata a muoversi, stringere, girarsi, compiacere.

Si guardava indietro, riviveva il passato non come una storia ma come qualcosa di estraneo, come una casa che ormai non riconosceva più.

Lui la guardava sempre mentre si spogliava. Con lo sguardo seguiva ogni lineamento del suo corpo, che col passare del tempo si formava e si trasformava. Toccandosi, immaginava di sfiorare quel fiore fresco e giovane, sempre più sinuoso.

Lo percepiva, anche da lontano, quando si accostava piano alla porta della sua cameretta socchiusa.

Nascondersi non le impediva di sentire il suo respiro profondo e sordo, aveva così tanta paura di quell’ombra che ogni gesto, ogni ribellione temeva potesse scatenare altri pericoli.

Anche quando lui parlava, le sue parole erano cesellate, taglienti, come un filo spinato che lentamente si stringeva intorno alla gola.

 

L’infanzia ebbe il sonno leggero, mentre la giovinezza si accese come un fiammifero, durante una notte d’estate, facilmente, senza esitazioni.

Era diventata donna, senza neanche farci troppo caso.

Conobbe il desiderio, ma quelle mani che la toccavano da sempre e che correvano veloci avevano deformato la sua realtà.

Era cresciuta senza saper distinguere ciò che era giusto da quello che era sbagliato. Il desiderio assaporato era una forza oscura, potente. Spingeva verso qualcosa in apparenza importante. Un impulso che nasceva dal corpo. La mano di Imma si abbassava, scivolava prima una, poi due, tre, quattro, cinque, sei volte al giorno.

Quel fuoco sempre acceso, che le arrivava al cervello come uno sbalzo di pressione del sangue.

Quelle mani scendevano sempre più giù, fino al suo paradiso segreto. Finché le dita non furono più solo le sue, ma appartenenti a mani estranee che lei lasciava entrare prima con delicatezza, poi con forza.

Sentiva la fiamma che la divorava, e più quel fuoco si faceva caldo, più uomini diversi si affacciavano al suo paradiso segreto, più si sentiva di esistere.

Non aveva dovuto imparare nulla, sapeva già tutto ancora prima di iniziare. Mandava giù tutto quel sapore che immaginava sapesse di fragola, come il suo gelato preferito. Un gelato al veleno che finì per durare giorni, settimane, mesi, anni.

Il corpo era come uno strumento, una chitarra delicata, più diventava perfetto il suono, più forte era il piacere.

Fino a quel giorno, era stato il fuoco a decidere per lei. Il suo paradiso aveva un biglietto salato all’ingresso. Ma le promesse di libertà si frantumavano lungo le piazze ambigue del paese, nelle viuzze poco frequentate, traboccanti di soli uomini o nel buio dei bassi socchiusi.

Non c’era libertà in quelle strade.

Troppi i gelati al veleno ingoiati.

La città appariva muta e sorda, cancellando tutte le voci che fino a un attimo prima sembravano moltiplicarsi pur di urlare il suo nome.

 

Da quel giorno, fatto di uomini che entravano e uscivano, prima dalla sua cameretta angusta e poi dalla sua casa, passarono più di vent’anni.

Guardandosi allo specchio, le sembrava di vedere una donna che non riconosceva. Il riflesso era il suo, ma gli anni, le scelte, le sofferenze e i momenti di gloria si erano intrecciati in un filo spesso fatto di nodi impossibili da districare. A volte, sembrava che il tempo passasse in un battito d’ali. Ogni ricordo aveva un suo posto, ogni errore un prezzo troppo alto. Se chiudeva gli occhi, poteva ancora sentire il profumo della sua infanzia, ma la vita l’aveva trasformata in qualcos’altro.

Quel dolore l’aveva consumata più degli uomini.

Fino a quando avvenne qualcosa di diverso.

Una vertigine.

Un respiro trattenuto, un instante impercettibile.

Un incontro con.

Un angolo di tempo sospeso, dove nulla pareva accadere eppure tutto cambiava.

Imma lo guardava non con gli occhi, ma con una curiosità che affondava nei suoi silenzi, nei gesti appena percettibili che parlavano più delle parole. Quel nuovo lui si scopriva avvolto da un’intimità che non aveva mai cercato, come se lei fosse una dimensione che non riusciva a definire, un pensiero che si faceva carne. E in quell’attimo, tra le ombre di una stanza che non aveva mai visto il sole, tra il palpito di un cuore che cercava una verità nascosta, entrambi si perdevano, trovandosi senza trovarsi mai davvero.  Come se tutto fosse detto senza essere detto, come se il mondo, in quei gesti fugaci, avesse perduto ogni contorno.

Il tocco di quella mano aveva qualcosa di diverso, di ancestrale, che penetrava le viscere, oltre il paradiso segreto. Più lei lo respingeva e più lui tornava.

Solo che aveva quella brutta abitudine. Dopo il piacere, si comportava come quando si finisce con una lucciola qualunque: confessava i suoi rimorsi e i suoi rimpianti. Piangeva, si allontanava.

Se la prendeva gratuitamente, spinto dalla passione, ma in fondo era come tutti gli altri, come tutti quelli che erano passati dal suo paradiso.

Il suo ultimo gelato al veleno, l’ultimo latte caldo da ingoiare.

Il vuoto che si trascinava da sempre venne fuori tutto insieme, quando si accorse che si era distratta e si era lasciata andare.

Esplose, come un vulcano, bruciando ogni cosa, ogni parte di lei, ogni oggetto, ogni ricordo. Tutto quello che era successo, quella scintilla che aveva fatto breccia, non era che l’ennesima menzogna. Il desiderio, ancora una volta, l’aveva ingannata.

 

Ci fu il vuoto, e i tanti uomini che ogni sera entravano nel suo letto, come prima di lui. Il suo paradiso segreto era un posto lontano e caldo che conservava un fascino misterioso e accogliente.

Le parole si persero tra i sorrisi forzati e i silenzi vuoti.

Poi lei fuggì.

Come se quel volto che aveva amato fosse solo un’ombra, come se il passato fosse l’ennesima prigione troppo stretta per respirare. Sospesa tra il desiderio di rivivere quello che era stato e il dolore di un ricordo che non sarebbe più tornato.

Un bisogno incessante di appagamento che fin da bambina aveva imparato a usare per sopravvivere.

Camminando lungo quella strada, sapeva di aver fatto la cosa giusta. La sua libertà era il suo respiro più profondo. In fondo, la morte non era che un ritorno, pensava. Un ritorno dove non si incontrano parole. Un ritorno dove non c’è dolore. La morte era come un respiro profondo, un passaggio attraverso un portale che non sai di attraversare. La sua mano, invisibile, la sfiorava mentre guardava il cielo, mentre guardava la pioggia che scendeva come sempre, come ogni giorno, senza fretta.

Camminava lentamente lungo la riva, il mare di fronte a lei, calmo come il riflesso di un pensiero che non riusciva a trattenere. Le onde si infrangevano, una dopo l’altra, un battere regolare, ma nulla sembrava davvero arrivare fino a lei. La sabbia si incastrava nelle pieghe delle scarpe, ma non le dava fastidio. Le mani, sempre incrociate, non sapevano più cosa fare, se non stare in quel vuoto che l’avvolgeva. Gli occhi si posarono su una conchiglia, luminosa e perfetta. Un oggetto che per un attimo, incredibilmente, sembrava appartenere a una realtà che non era sua. La solitudine, pensò, era fatta di piccole cose come quella, di dettagli che ti guardano senza giudicare.

Si fermò. Il vento accarezzava il viso e le ricordò l'odore del caffè al mattino, il suono delle voci che si intrecciavano al mercato, un battito di mani che accompagnava una danza lontana. "E se tornassi indietro?" pensò. Ma lo scorrere del mare le rispose con un silenzio che parlava più di mille parole.

 

L’amore era una parola troppo grande, una promessa che non sapeva mantenere. Camminava lungo la riva, il fruscio delle onde che si infrangevano sui suoi piedi. Il vento accarezzava, ancora una volta, i suoi capelli con una delicatezza che pareva sfiorare i suoi pensieri più profondi. Sulla sabbia umida lasciava impronte che subito scomparivano, come se nulla rimanesse di lei, nemmeno quel passo incerto, in bilico tra il ricordo e l’oblio. Ogni respiro sembrava portare con sé nuove verità. Una luce distante, la scintilla di un sogno appena accennato e già svanito.

Fece un passo verso l’acqua non come un atto di coraggio, ma di resa. Un addio a tutti i mostri che aveva incontrato, dal primo all’ultimo. Si immerse, sentendo il gelo delle acque che l’avvolgevano e scivolavano sulla pelle come un risveglio, come se il mare fosse l’unico posto dove finalmente potesse essere tutta intera. E in quell’abbraccio gelido, l’anima di staccò dal corpo e nel fluire delle onde scomparve come una falena versa la luce.







Giusy Laganà, è radicata ma scorre, come una celebre frase di una delle sue autrici preferite, che ama e di cui ha tatuato sul braccio la firma: Virginia Woolf. Laureata in Sociologia e Direzione d’impresa con un Master in Comunicazione Social, ha lavorato per molti anni in una multinazionale del lusso e della moda, mentre oggi lavora sempre nello stesso settore ma con un ruolo differente più improntato verso la comunicazione.

Da sempre appassionata di letteratura, scrive per www.viaggiletterari.com in collaborazione con note realtà editoriali e condivide le sue abitudini letterarie sulla sua pagina Instagram Viaggi Letterari.

Ha pubblicato il racconto La falena e la lampadina (Tulipani edizioni), La casa azzurra nell’antologia Cento Parole (L’Erudita - Giulio Perrone), Nube tossica nell’antologia Incipit d’Autore (L’Erudita- Giulio Perrone), Una porta blindata e L’estraneo su TheMeltinPop e articoli su alcune riviste (Kitez, Grado Zero, TheMeltinPop).

 

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