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  • Immagine del redattoreRedazione TheMeltinPop

L’estraneo



di Giusy Laganà


In quella mattina gelida si sentiva l’estasi oscura dell’inverno.

Diedi un ultimo sguardo all’ospedale, ma prima di partire lo vidi.

L’estraneo era vicinissimo a me. Il suo viso perfettamente lo specchio del mio, i suoi grandi occhi neri immobili, fissi nei miei.

Scrisse qualcosa sul vetro posteriore della macchina dove ero seduta con le sue dita che sembravano lunghi ghiaccioli.

Resta con me!

La sua bocca si aprì per inghiottirmi. Provava, ancora una volta, a tenermi prigioniera nel suo mondo dove tutti quei dottori si divertivano a studiarmi, mentre schiacciavano una lunga serie di bottoni e mi misuravano la testa.

L’estraneo era lì mentre quelle scosse al cervello mi facevano vibrare.

Specchiandomi in qualsiasi riflesso, lo ritrovavo, sempre.

Mentre il mio corpo tremava, lui mi afferrava.

In quel momento tutto si confondeva, il medesimo dolore si emanava fino a scomparire in due corpi diversi.

Meglio bruciare che appassire, continuavo a pensare.


Oh, quanto era bello, mi sentivo libera. Niente pillole, solo io e lui nel silenzio.

Ben presto mi diede prova che di lui potevo fidarmi, eravamo due gocce d’acqua, non potevamo tradirci perché i suoi segreti erano i miei.

Tra le lacrime vidi la macchina che si allontanava mentre lui rimaneva immobile a guardami fino a scomparire.

Resta con me!

Quando tornai a casa dopo molto tempo, tutto era rimasto identico come in quel maledetto giorno.

Poi l’arrivo dei medici che cercavano di tenermi ferma e infine, il buio con l’eco delle urla di mia madre che chiedeva aiuto.

Mi risvegliavo nella stanza senza colore con una sfilata di infermieri che cercavano di capire perché ero fatta così. Io non avevo risposte, nel momento in cui vedevo il suo riflesso sfioravo la felicità.

In casa non c’erano più specchi, li avevano rimossi tutti per paura che l’estraneo potesse tornare.

Loro non capivano cosa significasse vederlo.


Poi una notte ci fu un rumore continuo, un richiamo selvaggio, un sibilo che non mi lasciava tregua e continuava a martellare. L’ansia terribile nel petto per guardare fuori mi fece uscire. La porta della mia camera non era chiusa a chiave e si aprì facilmente, con mio notevole stupore.

Mia madre dormiva stranamente un sonno profondo che non le apparteneva, in un pallore insolito.

Sentivo il fischio del vento arrivare da una zona lontana e inaccessibile della casa che avevo dimenticato e a stento riconoscevo.

Da una finestra si intravedeva la luna.

Mi avvicinai nella speranza di vedere l’estraneo, ancora una volta.

La luce della notte innevata illuminava un riflesso, il mio, il suo, identici l’uno nell’altro.

L’estraneo era lì che mi fissava, mi aspettava, i suoi occhi penetravano i miei.

Sentivo il rantolo animale di lui mentre cercava di aprire la serratura fino a scardinarla e il suo grido flebile mentre mi sussurrava all’orecchio desideri solo nostri.

Mi strinse nella camicia da notte, ancora una volta sentivo il suo calore sulla mia pelle bruciare.

Speravo che fosse venuto per portarmi via, rapirmi per scomparire lontano, solo io e lui.

Lo scambio avvenne in un attimo.

Non c’erano più occhi colmi d’amore ma solo un ghigno che mi terrorizzava e si tradiva.

Mi spinse con forza e mentre lui rimaneva alla finestra, io cadevo giù.

La bufera fredda mi inghiottiva veloce. Era stato solo un tranello, un pozzo gelido dove morire.

Questa volta non ci sarebbero stati specchi appannati a farci rimanere insieme.

Nessun riflesso. Lui restava, io volavo via.



 



Giusy Laganà, è radicata ma scorre, legge per essere libera, orgogliosamente sociopatica.

Laureata in Sociologia, è appassionata di letteratura, scrive per www.viaggiletterari.com. Ha pubblicato il racconto La falena e la lampadina (Tulipani edizioni), La casa azzurra nell’antologia Cento Parole (L’Erudita), Nube tossica nell’antologia Incipit d’Autore (L’Erudita), Una porta blindata uscito su The Meltin Pop e articoli su alcune riviste (Kitez, Grado Zero).


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