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Cronache di un’universitaria. Una donna al potere



di Daphne Squarzoni


«Comunque non sono d’accordo» ci dice Lorenzo col caffè in mano davanti alle macchinette. «No?» chiedo. Emma ed io ci scambiamo un’occhiata curiosa, abbiamo appena finto di esporgli il nostro parere sulla necessità di accettarsi per incappare in relazioni sane (vedi episodio precedente).

«No. C’è un sacco di gente senza autostima che comincia a costruirsela quando si trova in una relazione sana», spiega Lorenzo, «Me lo diceva anche la psicologa».

Effettivamente…, pur avendo una buona autostima, la relazione con Raf mi ha sicuramente aiutata anche sotto questo punto di vista, se non altro perché è la dimostrazione che per qualcuno vale la pena starmi accanto, pregi e difetti inclusi.

«Vero. Però non posso basare la mia autostima sugli altri», interviene Federico, «Il rischio è di finire in una dipendenza affettiva o di costruire il proprio mondo attorno ad un’altra persona per poi andare in pezzi se non dovesse funzionare».

«Si, ok. Ma questo penso preveda uno sguardo a lungo termine», replica Lorenzo. «Nel momento in cui mi costruisco una buona autostima stando con qualcuno senza che la mia autostima dipenda da quel qualcuno, il problema non sussiste».

Annuisco pensierosa. «Forse allora è questione delle carte che hai in mano: se sei in una relazione, e vuoi che duri, devi lavorare su te stesso per migliorare quest’aspetto che ti porterebbe ad una dipendenza, più che ad una vera relazione. Se invece sei single e hai poca autostima tanto vale che ti metti a lavorare su questo prima di cercare la fantomatica “persona giusta”». A questa cosa della persona giusta non ho mai creduto.

«Quindi bisogna semplicemente ammettere che alcune persone sono più fortunate di altre», conclude Lorenzo, «Se non altro perché possono concedersi il lusso di scopare mentre imparano a volersi bene».

Federico ride di gusto, io ed Emma scuotiamo la testa. Lorenzo è capace di uscirsene con il peggior cinismo o le peggiori battute sessiste nel bel mezzo di discorsi seri. Il che, in realtà, fa ridere o risulta grottesco a seconda del livello di confidenza che si ha con lui. Nel nostro caso fa ridere. «Io penso che, se tu proprio non hai autostima, gli altri lo sentano e se ne approfittino. È un po’ come se fossi una carcassa che attira avvoltoi», commenta Emma, «Un briciolo di amor proprio ci vuole a prescindere».

Mentre parla noto il professore entrare nella nostra aula. «Sì, ok, finiamo dopo che il prof è entrato ora», la interrompo lanciando il bicchiere del caffè nel bidone più vicino.


Quando entriamo in aula, il professore si sta togliendo la giacca di pelle da motociclista. Sul naso aquilino campeggiano degli occhiali da sole stile RayBan e davanti a lui c’è un libro, uno di quelli su cui facciamo il corso quest’anno, spiegazzato e stracolmo di post-it gialli.

«È in after», mi sussurra Lorenzo. Ridacchio.

«Buongiorno a tutti», saluta il professore mentre ci mettiamo a sedere. Si sfila i RayBan e mi fissa. «Oggi non faremo lezione per colpa della vostra compagna Clio», esordisce. Emma mi guarda perplessa. «L’altra sera mi ha fatto una domanda e a partire da quella vorrei discutere con voi per capire come la pensate», spiega il professore, «Quindi se vuoi ripetere la domanda a tutti», conclude invitandomi ad alzarmi. Per fortuna non sono una persona timida…

«La domanda in questione mi è venuta in mente ascoltando un podcast in cui ci si chiedeva se il fatto che Meloni fosse al governo fosse o meno una vittoria per le donne. Il parallelismo che ho fatto io è stato tra la Marchesa e Meloni. Quindi la domanda è un po’ questa: basta che una donna dimostri di potercela fare, in politica o nella seduzione, perché sia una rivoluzione sufficiente oppure è necessario che aiuti le altre donne? La Marchesa ha vendicato il suo sesso oppure è stata peggio degli uomini?» spiego.


Il professore mi sorride incoraggiante. «Ovviamente in quest’aula non si può fare politica, ma mi è sembrato interessante portare questo parallelismo con l’attualità. Ora cerchiamo di tenere il dibattito lontano dalla politica e di prescindere un po’ dalle idee di Meloni. Anche perché poi bisognerebbe parlare del perché le grandi donne politiche spesso sono schierate a destra, una per tutte la Thatcher, ed in che modo questo tipo di governo femminile rientri in realtà sotto la perfetta sfera del dominio maschile. Ma questa è politica e se volete ne parliamo al bar con uno spritz», conclude.

«Ci ha invitati al bar», sussurra Emma.

«Be’ io ci andrei. E pure volentieri», replico. Il professore fa silenzio aspettando che noi diciamo qualcosa.

«Sicuramente il fatto di avere per la prima volta un presidente del governo donna è un sintomo che qualcosa sta cambiando nella società», interviene Georgia, «Però onestamente, da femminista, non mi sentirei di dire che è un traguardo per le donne. E forse la maggior dimostrazione la dà proprio la composizione del governo che vede diminuire le percentuali delle donne. Allo stesso modo la Marchesa è un personaggio fenomenale, ma nell’ottica della guerra dei sessi non ci vedo un contributo utile», conclude. Il professore annuisce. «Però la Marchesa si sente la paladina delle donne», ribatte.

«Be’, ma si sente anche libera e indipendente e in realtà non lo è», protesto.

«Ah no?», domanda il professore.

«Direi di no. Ha bisogno del Visconte perché qualcuno riconosca le sue avventure, perché la verità è che lei non vuole semplicemente fare quello che desidera e avere tutti gli amanti che vuole. Lei ha bisogno di qualcuno che riconosca apertamente che ce l’ha fatta. Ha bisogno che un uomo le dica “Ok sei più brava”. È schiava di sé stessa e degli uomini nonostante tutto.»

«Però al tempo stesso ha i mezzi», riflette Lorenzo. «Nel senso che lei è vedova, possiede dei territori, ha dei soldi e potrebbe, volendo, dare vita ad un salotto nobiliare per sole donne per istruirle e creare un primo nucleo di femministe».

Il professore alza le sopracciglia colpito dall’affermazione. «Però storicamente i tempi non erano maturi», controbatte. «Ed è sempre un errore giudicare un’epoca o un libro di un’altra epoca, con lo sguardo di adesso».

Inclino la testa di lato. «Anche se fossero stati i tempi giusti, un personaggio come la marchesa non vorrebbe mai e poi mai aiutare le altre donne», dico.

Georgia annuisce vigorosamente da sopra la sua camicia a scacchi. «Addirittura cerca di sabotare Cecile!», mi dà manforte. «Quando avrebbe potuto insegnarle. Ed è vero che Cecile non brilla di intelligenza, ma secondo me, uno dei motivi che ha spinto la Marchesa è la necessità di essere la prima, l’unica e la sola. E questo non giova alla causa di tutte le donne».


Il professore fa scorrere lo sguardo tra i suoi studenti e pare interessato al dibattito. «Nell’ottica della guerra tra i sessi, la Marchesa è inutile. È sicuramente geniale, e sicuramente è arrivata dove nessun’altra è mai arrivata. Però a che pro? Che utilità sociale ha? In che modo collabora alla causa femminista?» chiedo. Al mio fianco vedo Emma molto interessata alla discussione e troppo timida per buttarcisi dentro.

«Però questa cosa dell’utilità sociale è un concetto davvero cristiano», interviene un ragazzo dal fondo dell’aula. «Insomma chi lo ha detto che dobbiamo essere utili agli altri e non possiamo fregarcene? La Marchesa è il miglior personaggio, cattivo, egocentrico, manipolatore ed è bellissima così. Questa cosa di dover per forza prendere le parti dei personaggi buoni è davvero superficiale».

Georgia si gira e guarda il tizio. «Si, sono d’accordo che sia un personaggio fantastico, ed io sono la prima ad amare i villains, ma qui si sta parlando di battaglia tra i sessi», gli ricorda. «Indubbiamente la Marchesa è uno dei personaggi meglio riusciti della letteratura francese», interviene il professore, «Ma il punto è: nella causa maschi-contro-femmine, ha dato un reale contributo? Che alternative aveva?».

In aula ci guardiamo come per prendere le misure su a chi tocchi a parlare.

«Io penso che alternative valide ne avesse», interviene Eleonora. «Come ha detto Lorenzo, poteva creare un salotto intellettuale per donne o comunque diventare precettrice di alcune giovani. Lei passa tutto il tempo a giocare con le vite degli altri». Vero. In quest’aula nessuno sembra in grado di prendere le parti della Marchesa, se non per riconoscere che è un ottimo personaggio e anche molto intelligente. «Poi c’è da aggiungere che questo è un romanzo scritto da un uomo che non si preoccupa di dimostrare come in realtà siano le donne le più astute».


«Questo aspetto è molto interessante», rincara la dose il professore. «Anche se possiamo dire che in questo romanzo uomini e donne finiscono male in entrambi i casi».

«Tranne la vecchia zia. Lei è l’unica che ce la fa», obietta Lorenzo.

«Vero, ma lei in qualche modo rappresenta il passato e la piena adesione ai valori dell’Ancient Regime. Se lei non ce l’avesse fatta, sarebbe già stato tempo di rivoluzione», spiega il professore. Per un attimo in aula c’è di nuovo silenzio.

«Però c’è una cosa che non capisco», dice Michele, «Insomma non mi sembra che le donne se la passassero tanto male: alla fine non dovevano lavorare, non dovevano preoccuparsi di niente, solo di coltivare i loro hobby. Non mi sembrano tanto svantaggiate».

In aula cala un silenzio irreale. Io ed Emma ci guardiamo con gli occhi a palla.

«Immagino che lei sia stato un bambino bravissimo», interviene il professore, «Ma le assicuro che mia madre quando io ero piccolo non poteva assolutamente dedicarsi ai suoi hobby». Ridacchiamo e Michele si evita il linciaggio collettivo solo grazie alla battuta. In prima fila avevo già notato Georgia roteare gli occhi e serrare il pugno.

«A questo punto ritengo che la discussione possa fermarsi qui. Mi aspetto che portiate una vostra opinione all’esame», conclude il professore. E visto l’ultimo intervento sono contenta che sia finita: chissà che altre stramberie sarebbero potute uscirne.

«Clio», mi chiama Emma, «Mi ha appena scritto Lisa. Dice che dopo lezione vuole raccontarci una cosa. Credo ci siano novità con Stefano». Sorrido. Non vedo l’ora di scoprire cosa ha da dirci.


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«Era questa la tanto attesa discussione sociale?», mi domanda Raf mentre camminiamo tra le luci dei mercatini di Natale.

«Circa» ammetto. Scrivere quello che succede in università è meno facile del previsto perché tutta la realtà non ce la posso mettere e di inventare ogni cosa non mi va.

«E comunque l’ho notato», mi riprende Raffaele.

«Cosa?», chiedo stringendo il bicchiere con il brulè di mele per scaldarmi le mani.

«Che hai mescolato insieme più professori». Sgamata! «Be', allora, che è successo a Lisa?», mi cambia discorso Raf.

Alzo le spalle e sorrido angelica. «Lo scoprirai nel prossimo episodio. Intanto goditi l’atmosfera natalizia». Lui sbuffa e il suo fiato si condensa tra le bancarelle e le lucine. «Buon Natale!» rido prendendolo per mano «E felice anno nuovo».



 


Daphne Squarzoni, nata nel 1999, laureata in Studi Storici e Filologici, si sta specializzando in Filologia e Critica Letteraria. Dal 2019 porta avanti numerosi progetti didattici nelle scuole elementari insieme all'associazione Siderea e alla casa editrice Isenzatregua, con cui collabora attivamente e con cui ha pubblicato nel 2022 Piccolo diario della guerra europea del 1914-1915.

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