L'AMICO AMERICANO.
STORIE D'OLTREOCEANO
Il 14 febbraio 2018. La strage alla scuola superiore Stoneman Douglas, a Parkland, tredici miglia da Boca. Quattordici ragazzi e tre professori. L’assassino, un ex-studente diciannovenne. Un mese dopo, il 24 marzo, a Washington, si tenne “March for Our Lives”, un corteo per chiedere al Governo una legislazione che protegga gli studenti dalle armi. Contemporaneamente, cortei analoghi si svolsero in tutti gli Stati Uniti. Partecipai a quello di Boca. Tante persone lungo le strade di Boca, con cartelli inneggianti al “gun control”, ovvero una regolamentazione più severa nel commercio delle armi: non avevo cartelli, non ero mai stato a un corteo, ma per la prima volta sentivo che dovevo esserci. Finimmo all’Anfiteatro di Mizner Park, coperto da un grande tendone. Persone si alternavano al microfono, dal palco dell’Anfiteatro e da Washington, attraverso un grande megaschermo su cui a un certo punto passarono i volti dei ragazzi e dei loro professori, e piansi tutte le mie lacrime, lacrime inutili, come sono inutili i cortei, le marce, i cartelli, le parole. Vendere e comprare un’arma è così semplice perché, ovviamente, il business che c’è dietro è enorme. Chi rifiuta il “gun control”, richiamandosi al secondo emendamento, si rifugia spesso nello slogan: “sono le persone ad uccidere, non le armi” – non rendendosi conto che questo è esattamente il problema. In America il commercio delle armi è infinitamente più facile che altrove (persino aggirando – legalmente – le leggi a riguardo), con la conseguenza che possono facilmente entrarne in possesso individui pericolosi: persone che non sono psicologicamente e tecnicamente preparate per possedere un’arma.
Non è normale. Non è normale che ogni mattina in macchina, quando i miei figli fanno una piccola preghiera, debbano dire “fa’che oggi non ci sia un mass shooting”. Non è normale che le scuole siano diventati bunker, con esercitazioni in caso di “codice rosso”. Tre mesi dopo la strage di Parkland, Ida e Gabriele – al tempo tredici e undici anni – si trovavano assieme ad altri compagni in un’ampia sala della loro scuola: stavano facendo le prove per la recita di fine anno. Scattò il codice rosso, le luci si abbassarono quasi fino all’oscurità. Dallo sguardo dei due professori, i bambini compresero subito che non si trattava dell’ennesima esercitazione: come da protocollo, incitati dai professori, fuggirono verso il bagno più vicino, nel buio ora più assoluto e nel rumore spezzato delle porte che venivano serrate. Ida e Gabriele si chiusero a chiave in un minuscolo bagno, assieme ad altri tre ragazzini. Si abbracciavano, piangevano, scrivevano messaggi d’addio alla mamma e al papà dai cellulari. Gabriele non piangeva, ma rimuginava che, se proprio doveva morire, che fosse un colpo netto al petto, per non soffrire troppo. No, non è normale che bambini debbano vivere un’esperienza del genere, avere pensieri del genere. Non so esattamente quanto durò, i tempi dei bambini sono dilatati, e i genitori vennero allertati solo alla fine di tutto: non uscì mai una versione ufficiale dell’episodio, ma sembra che la causa dell’allarme sia stata l’avvistamento di un tale con una carabina ad aria compressa nei paraggi della scuola. Si sarebbe poi scoperto che era un sempliciotto a caccia di iguane.
Emanuele Pettener, nato a Mestre, insegna Lingua e Letteratura italiana alla Florida Atlantic University (Boca Raton, Florida), dove nel 2004 ha conseguito un Ph.D in Comparative Studies. Ha scritto numerosi articoli e racconti apparsi su riviste statunitensi e italiane. È autore dei romanzi È sabato mi hai lasciato e sono bellissimo (Corbo, 2009), Proust per bagnanti (Meligrana, 2013), Arancio (Meligrana, 2014), e Floridiana (Arkadia, 2021). Ha pubblicato il saggio Nel nome del padre del figlio e dell’umorismo. I romanzi di John Fante (Cesati, 2010) e, in inglese, la raccolta di brevi racconti A Season in Florida (Bordighera Press, 2014, traduzione di Thomas de Angelis).
Per seguire L'AMICO AMERICANO. STORIE D'OLTREOCEANO:
コメント