L'AMICO AMERICANO.
STORIE D'OLTREOCEANO
di Emanuele Pettener
L’estate del 2003 la passai a Boca (per una questione di visto mi venne proibito di tornare in Italia) e mi ricordo queste giornate lunghissime, immerse nella luce accecante e nel calore opalescente, silenti, quasi immobili, l’azzurro estenuato del cielo, il verde bruciato della vegetazione. Boca deserta come Roma a ferragosto in quel film di Moretti o in quell’altro di Gianni Di Gregorio, io che guido lentissimamente fra i viali del campus con la mia Mustang nera, scoperchiata, acquistata dal mio professore, il bianco abbacinante degli edifici, il cielo che d’improvviso si rannuvola, enormi nuvoloni scuri, bombe d’acqua da un attimo all’altro e da un attimo all’altro stop, rami piante cornicioni gocciolanti, di nuovo il cielo limpido, di nuovo il sole, la città bagnata e vuota. Che estate!
C’ero solo io, a Boca, io e le iguane. Ci facevamo compagnia. Forse nelle case qualcuno esisteva, chissà, nascosto come un topo, al refrigerio dell’aria condizionata sparata a mille. Di giorno anch’io godevo dell’aria condizionata, scrivendo la mia tesi di dottorato su John Fante nel piccolo appartamento affittato a pochi passi dal campus, dietro a quel rio ove vidi il mio primo alligatore. Scrivevo e scrivevo e tornavo di continuo a rileggere i romanzi di Fante, così intrisi di giovinezza. Quand’ero stanco, uscivo con la Mustang e vagabondavo. La sera gironzolavo per Mizner Park, il cuore rosato di Boca, annusavo gli odori dei fiori sfatti dal caldo, talora incrociavo un gatto, riflettevo sui gatti e sulla mia giovinezza.
Ne stavo uscendo definitivamente. Ero riuscito ad essere uno studente il più a lungo possibile, pur non amando studiare e non essendo mai stato un bravo studente (pessimo, al liceo) – ma studiare era pur sempre meglio che lavorare. Lavorare, oltre che disdicevole in sé, significava una volta per tutte uscire dai confini dorati della giovinezza. Non che m’importasse un granché. Ma sarà stata l’immersione nella prosa ormonale di Fante, la solitudine di quell’estate lunga come sono solo le estati di fanciullo, quando il tempo si dilata e dà una lieve impressione di immortalità – fatto sta che passeggiavo solo e pensavo alla mia giovinezza, ai suoi desideri furibondi, alla sua rabbia acerba. Davvero me li ero lasciati alle spalle o si muovevano in qualche recesso remoto della mia anima che invecchiava? Entrai in un locale, accolto da un vento gelido, pieno di folla, una banda suonava su un palco di legno, ragazzi molto più giovani di me si scuotevano, si dimenavano, e per un attimo mi sentii sollevato di non essere più giovane. Poi tornai a casa e ripresi a scrivere.
Emanuele Pettener, nato a Mestre, insegna Lingua e Letteratura italiana alla Florida Atlantic University (Boca Raton, Florida), dove nel 2004 ha conseguito un Ph.D in Comparative Studies. Ha scritto numerosi articoli e racconti apparsi su riviste statunitensi e italiane. È autore dei romanzi È sabato mi hai lasciato e sono bellissimo (Corbo, 2009), Proust per bagnanti (Meligrana, 2013), Arancio (Meligrana, 2014), e Floridiana (Arkadia, 2021). Ha pubblicato il saggio Nel nome del padre del figlio e dell’umorismo. I romanzi di John Fante (Cesati, 2010) e, in inglese, la raccolta di brevi racconti A Season in Florida (Bordighera Press, 2014, traduzione di Thomas de Angelis).
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