L'AMICO AMERICANO.
STORIE D'OLTREOCEANO
di Emanuele Pettener
La mia famiglia ed io abitiamo in South Florida, a Boca Raton, 40 miglia a nord di Miami, e specificatamente in un piccolo e delizioso villaggio, Lincolwood Village, fatto di sessantacinque casette immerse, come del resto tutti i villaggi (grandi o piccoli) che compongono la città, nella splendida natura subtropicale; abbiamo una piscina, un campo da tennis e, fra questi due, una clubhouse per organizzare feste o quant’altro (la nostra dirimpettaia Sarah ci tiene un corso di quilt. Sarah è una gentile signora adorabile, nata nel Mississippi, una vita a lavorare nel teatro, un minuscolo cagnetto orribile e su una gamba la cicatrice infantile del morso di un serpente mocassino, come Truman Capote). Il nostro villaggetto ha un vicino particolare: il cimitero municipale di Boca.
È un cimitero aperto, un vasto prato verniciato dal sole, tutt’altro che malinconico, attorno al quale corre un basso recinto in ferro battuto. A salutarci all’ingresso uno spettacolare, colossale Banyan tree, col suo tronco onnipossente e una diramazione di braccia frondose che si estendono in orizzontale e in verticale per diversi metri, formando un’enorme chioma verde: sembra un dio millenario, una specie di nonno gigantesco, saggio e austero, che saluta i vivi e protegge i morti. Le lapidi sono piccole. Boca è un luogo di alberi titanici e ville immense, ma le lapidi sono piccole. E prive di pietre tombali: solo erba. Sopra una lapide c’è un mandarino. La scritta sulla lapide è in caratteri cinesi. Un leprotto saltella qua e là, sembra giocare a nascondino, tra il sole e l’ombra estesa procurata dal mastodontico nonno.
Ilaria, la mia sposa, ed io facciamo spesso jogging qui, fra i vialetti. Abbiamo scoperto questo posto giovanissimi, appena arrivati a Boca, esplorando la città a piedi, e ce ne siamo invaghiti subito: così un pomeriggio abbiamo deciso di farci una fotografia tra le lapidi. Quando l’abbiamo stampata, siamo rimasti sorpresi: ai nostri piedi c’era una sinuosa forma bianca, come una nuvola birichina introfulatasi al momento dello scatto. Non ci siamo mai informati su quale potesse essere la ragione tecnica del fenomeno, che restò unico con quella macchina fotografica (o altre), poiché i piccoli misteri della vita non vanno mai guastati: romanticamente, ci è sempre piaciuto pensarlo come il benvenuto di un amico fantasma.
Del resto sembra che di fantasmi il cimitero non sia sprovvisto. Secondo lo scrittore Greg Jenkins, che ha dedicato ben tre volumi a racconti e leggende di fantasmi in Florida, non è raro vedere una ragazzina di tredici o quattordici anni che prega, inginocchiata. Quando s’accorge che l’avete scorsa, vi sorride, sembra contenta, sparisce, e forse se ne va a giocare coi suoi amichetti: altre testimonianze parlano infatti di rumori simili a chiasso di bimbi che giocano, soprattutto proveniente dalle tombe del mausoleo (costruito negli anni ’90, laddove il cimitero fatto di prato e lapidi è degli anni ’40). Vorrei dire d’aver visto la bimba o i suoi amichetti ma mentirei, per quanto vedere un fantasma mi piacerebbe moltissimo, a chi non piacerebbe?
Beh, a Ilaria no, per esempio. Tuttavia qualche mese fa una signora grassoccia dall’aria angelica e il rossetto porporino attacca bottone durante la nostra sessione di jogging – corriamo talmente piano che nessuno ci prende sul serio – e a un certo punto ci fa: “volete vedere la mia tomba?” Ilaria e io ci guardiamo stupiti. Un fantasma! Finalmente! E pure grassoccio! La seguiamo eccitatissimi. Una volta giunti alla sua tomba, la vediamo leggere la lapide, “Elizabeth Something, 1921-2019” e cambiare espressione, il sorriso pittato di rosso le si spegne, l’angelicità s’offusca: “ci han messo qualcun altro! Con quello che ho pagato! Adesso mi sentono!” e senza neppure salutarci il nostro fantasma paffutello si fionda verso l’ufficio che sta al centro del cimitero, per lamentarsi, legittimamente, d’aver piazzato Elizabeth Something nell’appezzamento che s’era orgogliosamente prenotata.
Emanuele Pettener, nato a Mestre, insegna Lingua e Letteratura italiana alla Florida Atlantic University (Boca Raton, Florida), dove nel 2004 ha conseguito un Ph.D in Comparative Studies. Ha scritto numerosi articoli e racconti apparsi su riviste statunitensi e italiane. È autore dei romanzi È sabato mi hai lasciato e sono bellissimo (Corbo, 2009), Proust per bagnanti (Meligrana, 2013), Arancio (Meligrana, 2014), e Floridiana (Arkadia, 2021). Ha pubblicato il saggio Nel nome del padre del figlio e dell’umorismo. I romanzi di John Fante (Cesati, 2010) e, in inglese, la raccolta di brevi racconti A Season in Florida (Bordighera Press, 2014, traduzione di Thomas de Angelis).
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