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Sebastião Salgado, ancora una volta

  • Immagine del redattore: Redazione TheMeltinPop
    Redazione TheMeltinPop
  • 1 set
  • Tempo di lettura: 2 min

Trovare l'arte (e metterla da parte)


a cura di Cristina Castagnola


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“Effetto farfalla: infinitesime variazioni nelle condizioni iniziali producono variazioni grandi e crescenti nel comportamento successivo dei suddetti sistemi” (Enciclopedia Treccani).

Il mio incontro con la fotografia di Sebastião Salgado è stato esattamente questo.


Il giorno della sua morte ho capito che c’è stato un prima e un dopo la mostra su “Genesi” che ho potuto ammirare al Palazzo Ducale di Genova (e di cui ho parlato nel primissimo articolo di questa rubrica). È una delle ragioni per cui mi sono dedicata alla comunicazione, ma anche una delle ragioni per cui mi ritrovo a soffrire di “eco-ansia” (uno stato di ansia e paura legato alle sorti future del Pianeta).


L’impegno di una singola persona si è trasformato in un movimento globale, che proseguirà (mi auguro) anche dopo di lui.


È, dunque, così che ho deciso di rendergli omaggio nel mio piccolo e di scoprire un po’ di storia di altri due suoi fondamentali lavori: “Workers: An Archaeology of the Industrial Age” (1993) e“Migrations: Humanity in Transition” (1999).


Workers” (“La mano dell’uomo” nella traduzione italiana) è un colossale lavoro il cui focus punta sulla figura umana e che lo ha portato a viaggiare in ventisei diversi Paesi nell’arco di sei lunghi anni. Conta ben 350 fotografie in bianco e nero, a carattere documentale,incentrate sulla fatica dell’uomo nelle diverse attività dei campi, delle miniere, delle fabbriche. Gli intensi volti e corpi di uomini e donne provenienti da tutto il mondo portano lo spettatore a empatizzare con la dignità e la forza d’animo di queste persone.


È un vero e proprio elogio di quel lavoro manuale che ha permesso al nostro di mondo di essere quello che è oggi. Incluse le sue brutture. Non è semplice arrivare alla fine di queste 350 foto, ma forse, ora più che mai, è necessario ricordare da dove siamo arrivati.


In“Migrations” (“Exodus”), invece, Salgado ci racconta le migrazioni di massa di milioni di uomini, donne e bambini, non nascondendo nulla delle loro misere condizioni, della paura e della povertà, dei disordini e delle tragedie quotidiane.


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È di questo che parlano le 180 fotografie, mostrando campi profughi, guerre, disastri naturali dall’Afghanistan, dal Messico, dal Vietnam, ma anche dallo Stretto di Gibilterra, dal Medio Oriente, dall’Amazzonia. Tutto ciò per ricordare a chi guarda che il mondo è un sistema perfettamente circolare: il cambiamento climatico porta alle calamità che a loro volta diventano esodi infiniti. Stessa cosa per le guerre.

Per come si sta evolvendo la Storia moderna, “Migrations” non andrà molto presto fuori moda.



“Oggi più che mai, sento che il genere umano è uno. Vi sono differenze di colore, di lingua, di cultura e di opportunità, ma i sentimenti e le reazioni di tutte le persone si somigliano. Noi abbiamo in mano la chiave del futuro dell’umanità, ma dobbiamo capire il presente. Queste fotografie mostrano una porzione del nostro presente. Non possiamo permetterci di guardare dall’altra parte” (Sebastião Salgado).

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