
di Cristina Castagnola
Qualche mese fa, durante un viaggio in Scozia in compagnia dei miei fratelli, abbiamo visitato il giardino botanico di Edimburgo, allora totalmente monopolizzato da un meraviglioso foliage. Era presente anche un’interessante mostra sui funghi, ‘Fungi Forms’. Sebbene fondamentalmente crescano su materiale organico morto, le loro incredibili forme e proprietà non si non si adattano bene solo alla cucina. Per l’appunto, lungo la mostra, erano presenti non solo fotografie meravigliose, libri antichi o ricette (vengono pure utilizzati per creare una particolare polvere di caffè!). L'utilizzo di questi organismi che più mi ha lasciato un segno è stato il loro impiego nella moda.
Non è la prima volta che si sente parlare di vestiti ecologici e naturali. Avendo un gravissimo impatto sull’ambiente, l’industria tessile già da tempo si è dovuta reinventare per portare a sua volta un contributo nella lotta alla salvaguardia del nostro pianeta.
Alle fibre naturali, quindi derivate da fibre organiche o di origine animale, vi rientrano juta, lino, canapa, seta, cocco, cotone, ananas, ma anche acetato, triacetato e viscosa, che vengono prodotti dalla cellulosa degli alberi o da scarti di altre filiere produttive. I tessuti sintetici (come nylon o poliestere, per esempio), invece, per quanto cruelty-free, data la loro composizione, hanno un bassissimo tasso di biodegradabilità per via della plastica presente al loro interno.
Ovviamente, non è tutto automaticamente perfetto perché si tratta di materiali naturali: allevamenti intensivi e deforestazione sono, purtroppo, all’ordine del giorno per cercare di compensare la difficoltà di reperire queste materie prime. Perciò, sono nate una serie di certificazioni che garantiscono la sostenibilità tanto etica quanto ambientale del tessuto, andando a tenere sotto controllo il processo produttivo nel complesso.
Se c’è la volontà, c’è un modo: sono, infatti, nati nel corso del tempo diversi interessanti progetti di moda sostenibile, che prevedono il riuso di scarti agroalimentari all’interno della produzione. Orange Fiberè ricavata dalle arance, Wineleather dalla vinaccia, Pellemela dalla mela e sono solo alcuni degli esempi.
Quella ricavata dal fungo, è un tipo di pelle vegana già da qualche anno presente nel mondo dell’alta moda, grazie all’azienda californiana MycoWorks, che impiega ilmycelium, presente nelle radici dei funghi, per creare un vero e proprio nuovo tessuto. Hermès ha collaborato con questa società nella realizzazione delle borse ‘Victoria’ con il Reishi, una fibra simil-pelle ricavata dalmycelium dell’omonimo fungo misto a segatura e poi arricchito con altre trame o fibre.
In Italia, dall’azienda Zero Grado Espace di Montelupo Fiorentino (FI) è nata Muskin, una pelle vegetale fatta con una particolare specie di fungo, il PhellinusEllipsoideus, che si può plasmare nei modi più disparati, dalle scarpe alle borse ai complementi d’arredo. A differenza di altri tessuti che vengono poi uniti ad altri materiali, in questo caso, si utilizza solo il cappello di questo fungo gigante non commestibile delle foreste subtropicali. Anche i trattamenti a cui viene sottoposto sono totalmente naturali ed è una pelle traspirante, atossica, idrorepellente e isolante e, di conseguenza, non provoca reazioni allergiche.

Senza quella piccola escursione al giardino, sarei rimasta ancora all’oscuro di questa interessantissima branca della moda.
Il futuro potrebbe non essere roseo come speravamo, ma attingere a una sfumatura di verde potrebbe dare risultati interessanti.
Foto di Cristina Castagnola.
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