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Il nome della grigia

Una luce poco fa (Piccole occasioni di gioia quotidiana)


di Elena Nieddu





Gaia. Le lascerò il nome con cui è arrivata a casa. Anzi, no. La chiamerò Zerlina, come il personaggio spiritoso e carino del “Don Giovanni” di Mozart. Anzi, vedo che ha le orecchie a punta, come la regina degli elfi nel “Signore degli Anelli”. Arwen. No, per carità, sarei gelosa di Aragorn. Galadriel, si chiama. Galadriel detta Gala. Suona bene. In fondo, Gala era la moglie di Dalì: un po’ di surreale follia si addice al colore della casa. Mmh, no. Ha un suono strano. E poi, mentre pronuncio Galadriel, per citare il compianto Massimo Troisi, quella ha già combinato qualche guaio.


Mentre sono presa da tutte queste elucubrazioni, lei arriva. E’ grigia, tigrata, con strisce eleganti e sinuose lungo tutto il manto. Mentre la signora P. mi viene incontro, la gattina si agita appena, dentro un trasportino nero, mi fissa dal fondo del buio che pare enorme con due occhi luminosi: grigi come il manto. Galadriel, penso, portatrice di luce. La sua voce è un pigolio delicato; anche il fratello Fidel, che accanto a lei sembra davvero una tigre, ne è conquistato.


Lasciata libera per la stanza, cerca un posto per riposare: lo trova, sopra una pila di fogli di recupero, snobbando cuccette e sedili più comodi. Raccolta a ciambella, si addormenta in un pisolino saporito, il principe di tutti i pisolini. Galadriel, penso. Elegante come Cate Blanchett, pacata e saggia come una principessa. Galadriel, sì. Porterà la pace felina in questa casa. “Gala!...”, la chiamo. Non risponde. E’ normale, penso, non mi conosce. Chiudo la porta della stanza a lei destinata, per lasciarla dormire. In cucina, scrivo il suo nome in lettere elfiche su una targhetta rosa, accanto a quella azzurra con scritto Fidel, sul ripiano delle vettovaglie. Esausta da tutte le emozioni della giornata, mi rilasso a tavola, ascoltando un podcast.


E poi, in fondo in fondo, la sento: come uno squittire di sovracuti, pungenti, acuminati. Una vocina che passa le pareti. Lascio tutto, e torno da lei: la prendo in braccio, è così piccola, sento le ossa della sua schiena scivolare tra le mie dita. Mi sento inondare di tenerezza. Guardo intensamente, negli occhietti grigi da bebé, la mia gattina senza nome. Lei ricambia lo sguardo; e, prendendo bene il fiato, coordinando perfettamente diaframma, corde vocali e risonanze del minuscolo cranio, come in anni di studio non sono ancora riuscita a fare, la saggia Galadriel si produce in un grido che passa le pareti: la principessa di tutte le urla. Nella mia mente si produce un’immagine, un fotogramma: la scena della doccia in “Psycho”, con gli anelli di plastica lasciati a vorticare paurosamente, mentre le piastrelle si chiazzano di nero. Marion, il nome del personaggio destinato alla morte sanguinaria più famosa in tutto il cinema, non mi pare benaugurante. Ma mi fa accendere un’idea: “Marnie”, sussurro. La piccola si volta e, in un attimo, si calma. Sorrido: in fondo, Tippi Hedren indossa sempre tailleur grigi, in quel film. In fondo, l’eleganza non le manca, pure con quelle orecchiette da elfo. Solo più tardi, però, scopro di aver fatto la scelta giusta: quando, senza un motivo, la vedo usurpare i posti preferiti dell’attonito fratello, che la guarda incantato, scacciato sul pavimento, senza neppure abbozzare una reazione. Marnie, la mia gatta ladruncola, penso. Già siamo in due a volerle bene.




Elena Nieddu


Nata a Genova nel 1974, laureata in Scienze della Comunicazione all’Università degli Studi di Torino, ha conseguito il praticantato giornalistico all’Ifg “Carlo De Martino” di Milano. Nel 2019 è uscito il suo primo libro, “Senza pelle”, edito da Ensemble. Suoi racconti sono stati pubblicati da “Nuovi argomenti”, “La città”, “Letterate Magazine”. Per il quotidiano “Il Secolo XIX” si occupa di cultura, spettacoli e società.


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