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LA PASSIATA. Una luce poco fa (piccole occasioni di gioia quotidiana)



Photo by Elena Nieddu

di Elena Nieddu



Accade il sabato mattina, tutt’al più la domenica.

L’ora è sempre la stessa: le dieci e un quarto.

Anche l’itinerario non cambia: si parte da piazza Manin, si arriva alla spianata di Castelletto.

Le variabili sono il resto: condizioni atmosferiche, temperatura, traffico, volti che si incrociano, gatti che sbucano dai giardini, cani che trotterellano a fianco al padrone.

Foglie gialle, rami secchi, gemme, fiori appena sbocciati, fogliame verde e rigoglioso.

Carrozzine, passeggini, scarpe da ginnastica, mocassini.

Occhi azzurri dell’Est, occhi neri degli Indios.

Sorrisi dietro le mascherine. Mugugni.

File davanti alle pasticcerie. Il profumo del glicine e gli archi slanciati dei gazebo.


Come il commissario Montalbano - non me ne voglia per questo il mai troppo amato Andrea Camilleri - ho preso l’abitudine della passiata: anziché nel doppopranzo, io la faccio nel doppocolazione. E, anziché allungarsi sul molo, la mia si snoda attraverso le volute della circonvallazione a monte di Genova.

Ho percorso mille volte quel tratto di strada, anche da ragazzina, quando andavo al liceo.

Credevo non avesse segreti, invece ogni volta la passiata riserva una sorpresa: il particolare di una finestra, un fiore giallo appena sbocciato, il decoro di una ringhiera, la galleria dei pini giusto prima di arrivare alla meta.

La passiata, in genere, si fa in due, meglio se chiacchierando con l’amica del cuore, raccontando piccoli e grandi fatti della settimana appena trascorsa.

Ma ci sono anche passiate in solitaria e sono belle anche loro. Se in compagnia si ascolta e si parla, da soli, soprattutto, si osserva.


Durante la passiata possono accadere molte cose che, in genere, non hanno il carattere dell’eccezionalità, anche se gustare un caffè macchiato nel bicchierino di polistirolo, davanti a un panorama aperto e colorato non è, poi, una cosa così scontata.

Tuttavia, si può assistere anche a dei veri e propri prodigi: come quelle bolle di sapone che, incontrando l’asfalto del marciapiede, non sono scoppiate ma, ridotte a semisfere, si sono fermate a guardarci. Miracolo della fisica o magia? Scegliete voi.


La passiata serve soprattutto a riflettere, e in questo mi sento molto simile al buon Salvo Montalbano. Guardando e riguardando, mi sembra di entrare un po’ di più nella natura delle cose e di imparare a considerare i problemi in un modo diverso. In fin dei conti, la passiata è il mio modo di andare incontro allo scorrere della vita.

Se si sta attenti, non ci si annoia mai. Si cede al tedio solo quando non si è presenti e non si vive con tutta l’intensità un attimo dopo l’altro.

Finalmente l’ho capito.

Indovinate quando? Nell’ultima passiata.



Photo by Claudio Castellini

Elena Nieddu

8 ata a Genova nel 1974, laureata in Scienze della Comunicazione all’Università degli Studi di Torino, ha conseguito il praticantato giornalistico all’Ifg “Carlo De Martino” di Milano. Nel 2019 è uscito il suo primo libro, “Senza pelle”, edito da Ensemble. Suoi racconti sono stati pubblicati da “Nuovi argomenti”, “La città”, “Letterate Magazine”. Per il quotidiano “Il Secolo XIX” si occupa di cultura, spettacoli e società.






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