di Maurizio Miro Gatti
47.
47 anni.
Di matrimonio.
Condanna immutabile e irreversibile o lunga anticamera del Paradiso?
Siamo stati sposi giovani. Molto.
Un volto meraviglioso, uno sguardo incantatore, occhi da sogno …. Da sogno o da
incubo? …. A volte mi sorprendo per le domande che mi faccio…. Mi accade sempre
quando mi faccio la barba e mi vedo allo specchio. Guardami negli occhi, immagine di
me stesso. La risposta è chiara.
47.
Nella Smorfia napoletana il numero 47 è associato a ‘o muorto’. È il 48, il numero
successivo, che rappresenta il ‘morto che parla’. Pericoloso, uno che parla da morto.
Anche insensato. Meglio 47, il ‘morto che sta zitto’.
Però quando parli con un non-napoletano e citi il numero 47, salta fuori il morto che
parla, forse ricordo confuso di qualche vecchio film non proprio d’autore. Morto che
parla. Sottile brivido di disagio. Se il morto parla chi ha fatto giustizia rischia grosso.
Deve fare assolutamente le cose per bene.
Per bene. Un assassino. Che paradosso!
47 e 48. Spero di ricordare bene, ma i numeri, lo sanno tutti, mi sono sempre piaciuti.
E mi sorrido allo specchio pure anche se nessuno mi vede. Questo 47 significherà
qualcosa di particolare per noi?
47.
Ma la domanda è un’altra, ora. Cosa posso fare? Quale soluzione posso adottare? Serve
un’invenzione. Serve uno slancio creativo.
È il quesito che mi gira in testa insistente da qualche giorno. E i dubbi si accumulano
mentre ci penso, mentre mi interrogo su questa benedetta soluzione. Una soluzione che
almeno stavolta sia creativamente definitiva.
È proprio vero: quando penso insistentemente ad una cosa, l’arrovellarsi su di essa è
come se mi incantasse, mi sospendesse al di sopra della realtà.
Poi, un’immagine, un suono, un movimento mi risveglia, porgendomi un
suggerimento.
Sto rimirando una lama di luce che penetra dalla persiana, un raggio luminoso in cui
vedo mulinare la polvere brillante. Lama. Soluzione brillante? Lama vuol dire coltello.
Col coltello? No, banale e dozzinale. Lo fanno tutti. Poi sporca. Bisogna essere bravi
con un simile attrezzo, ma non sono né Cracco né Cannavacciuolo.
Già che si parla di cucina…A colpi di mestolo? Mi vien da ridere. Creativo lo è, ma
bisogna padroneggiare lo strumento, essere capaci a maneggiarlo con cura, tutto deve
sembrare fatto bene, troppa aleatorietà, forse è inadatto, non mi sento in grado.
Un liquorino adeguatamente “corretto” per innaffiare alla fine il dolce? Impensabile.
Difficile farglielo bere, figurarsi provare a somministrarglielo inconsapevolmente. Lo
percepirebbe subito, anche a distanza, con quell’aria da maghetta perfetta.
“Quello” alle mandorle? Potrebbe soddisfare l’olfatto, ma è troppo riconoscibile ad un
naso esperto, sarebbe un rischio, e potrebbe mandare tutto alle ortiche.
Devo sparare bene le mie cartucce … Sparare…. Senza troppo rumore però, che
nessuno possa intuire cosa c’è dietro. Sparare col silenziatore….Sono proprio perverso
oggi. Potrei chiamarmi Bond. Eugenio Ferdinando Bond.
Suona malissimo.
E poi dove lo trovo il silenziatore? Al supermercato “Tuo amico”?
Una sciarpa di seta? Non me la devo dimenticare, possibile riserva per un finale a
sorpresa.
Sembra una scelta facile. Ma quando arrivi alla svolta finale … Dopo così tanto tempo,
uno rischia di perdersi nei preparativi, la mente si alambicca sulle possibili scelte, sui
particolari … Con l’ambizione di arrivare e concludere nella perfezione e alla
perfezione. Troppo difficile?
Con un unico testimone. Lei.
Prenderla per la gola. È l’unica soluzione.
E stringere. Stringere perché non c’è più tempo.
Meglio fare tutto con le proprie mani. Lo diceva sempre anche papà.
E sperare di vedere nei suoi occhi, così chiari, così amabili, così perfidi, sorgere solo
all’ultimo momento la consapevolezza della sorpresa, finale.
(Qui occorrerebbe girare la pagina, prendere un bel respiro e…)
Una bella torta al cioccolato, fatta da me con tutti gli ingredienti golosi, per festeggiare
insieme! E alla malora per un giorno la dieta e il colesterolo!
E che sarà mai, la morte di qualcuno?
Chissà.
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