di Daphne Squarzoni
«Sai cosa?» domando a Raf mentre la sua nuova auto grigia di seconda mano si arrampica sulle strade di montagna «Mi mancano le cronache» ammetto. Raf sorride scuotendo leggermente la testa. «Al di là della scadenza fissa, mi manca ogni tanto scrivere un racconto ispirato a quello che succede, un racconto in cui posso essere io senza dover essere io» spiego. Fuori dal finestrino la nebbia si addensa irriducibile preludio dell’autunno che sta per arrivare. «Ricomincia a scriverle, allora» risponde il mio moroso alzando le spalle «Sì, ma non possono più essere cronache di un’universitaria visto che ho finito» gli faccio presente «Fai le cronache di qualche altra cosa». Detta così sembra davvero semplice. «Tipo?» chiedo «Che ne so! Sei tu la scrittrice». Taccio mentre il paesaggio passa fuori dal finestrino conducendoci inesorabilmente sul posto di lavoro. «E poi non hai ancora raccontato la laurea di Emma a luglio e tra poco ci sarà anche la mia equella di Valerio e poi pure quella di Lisa. Potresti non aver finito di raccontare» aggiunge il mio moroso che in questi mesi ha lavorato più o meno assiduamente alla tesi. «Vero. E non ho ancora raccontato la mia festa di laurea» aggiungo «Anche se quella voglio tenerla per noi. Raf mi sorride complice. «Comunque cose da raccontare ce ne sono» mi fa presente «Devi solo decidere cosa dire». Questa volta tocca a me sorridergli: «Hai ragione»
La riunione è nella sede del museo che per una strada coincidenza è esattamente davanti all’università: sono passata dalle aule di lettere agli uffici del museo semplicemente attraversando la strada. Mentre cammino lungo la solita via mano nella mano con Raf (che è passato da compagno di corso a collega) vedo in lontananza i capelli spettinati del professor R. fermo a parlare fuori dall’ateneo vestito tutto in jeans con la sigaretta penzoloni all’angolo della bocca. Sento una fitta di nostalgia che mi implora di attraversare la strada e andare a salutarlo, ma siamo già in ritardo per la riunione e non posso proprio permettermelo. Raf mi guida dentro la sede del museo, un’altra porta a vetri del tutto diversa da quella dell’università e poi su per le scale fino all’ultimo piano, una mansarda in cui è stata allestita la riunione attorno a un grande tavolo di marmo. Entriamo dalla porta, anche questa a vetri, e ci sediamo sulle sedie rosse. Con noi attorno al tavolo colleghi che ho visto più o meno durante i progetti di quest’anno: da settembre, quando ho cominciato il mio ultimo anno da studentessa, sono stata assunta come operatrice del museo e in questo anno ho continuato a occuparmi di progetti e visite guidate per conto loro.
Arriviamo e i tre referenti sono già seduti a capotavola mentre tutti ci riuniamo accomodandoci sul marmo fresco in questa giornata così calda. «Eccoci qui!» esordisce Andrea N. «Con l’inizio del nuovo anno scolastico cogliamo l’occasione per tirare le somme dell’anno passato e dell’estate». Attorno a me gli altri annuiscono. Allungo il mignolo sotto il tavolo afferrando quello di Raf. «I dati di quest’anno segnalano una continuazione della tendenza di questi anni a crescere: sono aumentate le visite guidate negli spazi espositivi, sono aumentate le visite guidate con le scuole e pure le prenotazioni da parte di privati».
Le persone attorno al tavolo sono tutte a loro agio, sedute comode con gli sguardi rilassati. Mi rendo conto in questo momento, guardando le persone che per tutto l’anno hanno lavorato con me, che sono diventate familiari. In questi mesi ho avuto modo di chiacchierare un po’ con tutti, di conoscere un po’ tutti, qualcuno meglio degli altri, di lavorare un po’ con tutti e questa cosa ha contribuito a farmi sentire parte di questo progetto.
Mentre i nostri responsabili parlano dei punti di forza e di quelli di debolezza io stringo il mignolo di Raf pensando a tutte le volte che ci hanno chiesto stupiti: «Ma come? Lavorate insieme? Non siete stufi di vedervi?!». No. «Io e Raf facciamo entrambi così tante cose che ci sono delle settimane in cui ci vediamo soltanto per dormire» dissi una volta a Emma. Questa cosa di essere colleghi ci da modo di passare altro tempo insieme e, soprattutto, di stare in macchina assieme. Nel mezzo della nostra vita frenetica questi viaggi sono un momento in cui riusciamo a parlare, a chiacchierare e, a volte, anche a discutere. Sono diventati un pretesto per chiarirci e per conoscerci di nuovo, per condividere sogni e progetti. «Da quando abbiamo aperto la sede del museo in montagna è aumentato il carico di lavoro però ci facciamo quasi due ore di macchina ogni giorno e stiamo passando in rassegna tanti podcast, tanti dischi e tanti argomenti di discussione» ho raccontato a Emma qualche tempo fa. Quindi no, non siamo stufi di vederci, non ci pesa lavorare assieme e, anzi, mi dà modo di scoprire e riscoprire sempre più il mio moroso in tutta la sua meravigliosa intelligenza e competenza.
Attorno a me la gente ride e io riemergo dai miei pensieri rendendomi conto di essermi persa la battuta. «Speriamo che nessuno intercetti le nostre conversazioni» scherza una nostra collega che ha partorito qualche mese fa «Altrimenti potrebbero processarci». Altre risa. È bello questo clima rilassato. «Bene, visto che abbiamo finito la riunione direi che possiamo spostarci al bar per l’aperitivo».
Il bar è sempre lo stesso, il nostro caro, solito, vecchio bar che abbiamo frequentato per cinque anni di università e che continuo a frequentare anche ora che lavoro. La barista mi riconosce e mi sorride salutando ciascuno di noi personalmente.
Seduti ai tavolini esterni riconosco alcuni professori e poco lontano da noi sta passando il mio ex relatore discutendo al telefono. Reprimo la voglia di rincorrerlo per salutarlo sperando che ne avrò ancora occasione. Mentre la cameriera prende le ordinazioni io mi trovo a chiedermi come debba essere fare il professore: vedersi passare sotto gli occhi tanti studenti, magari anche affezionarsi a qualcuno, per poi non vederli quasi più. Ci ripenseranno mai ai loro ex alunni? Li sentiranno ancora?
«Comunque a me piacerebbe poter mantenere un rapporto con alcuni professori» dico a Raf osservando i prof seduti ai tavolini.
«Con la M.?» scherza il mio moroso abbassando gli occhi quasi verdi su di me.
Rido «NO! Lei spero di non vederla mai più». Non faccio in tempo a finire la frase che la suddetta professoressa fa il suo ingresso al bar. Raf e io ridiamo mentre i colleghi ci richiamano al tavolo. Mi siedo ritrovando dentro di me tutte le volte che in questi anni ho occupato questi tavoli, la sensazione di familiarità e la storia che mi lega a questo posto. Sorrido pensando che le cose cambiano e continuano a cambiare ma in questi luoghi è rimasto un pezzo di me e lo ritroverò ogni volta che tornerò in questo bar, in questa via, dentro l’ateneo. Lo ritroverò intatto ogni volta che salterà fuori qualche persona, qualche abitudine qualche luogo del passato.
«Smettila» mi sussurra Raf.
«Di far che?» chiedo.
«Di cedere alla nostalgia». Sorrido e mi reimmergo nel presente: questa volta Raf ha ragione.
«Ho sempre ragione» decreta Raf appena ho finito di leggere questo nuovo episodio. Siamo ancora in macchina di ritorno da una visita guidata.
Rido. «Hai sempre ragione tranne quando mi contraddici, in quel caso sappiamo perfettamente che vinco io» replico pensando a tutte le scommesse che ha perso.
«Solo perché ti lascio vincere» mi rinfaccia il mio moroso. Alzo gli occhi al cielo.
«Comunque ho deciso» cambio argomento.
«Cosa?»
«Ho deciso come chiamerò le nuove cronache»
«Sentiamo»
«Cronache di…»
«Di che?» domanda Raf senza capire «Ogni volta di qualcosa di diverso in base al tema del pezzo: una volta saranno le cronache di una guida turistica, magari un’altra di un’insegnante, di una scrittrice in prova, di una vera bionda o qualcosa del genere. Le cronache sono le cronache e anche se non sono più quelle di un’universitaria, io sono sempre molto più di ciò che faccio e quindi tanto vale cambiare etichetta ogni volta che mi va» spiego gesticolando. Raf ridacchia «Cronache di un camaleonte» parodizza.
«Forse farò anche quelle» dico alzando il mento in segno di sfida.
Raffaele sorride cambiando marcia. «Be’ allora ben tornate alle cronache di…»
Daphne Squarzoni, nata nel 1999, laureata in Studi Storici e Filologici e in Filologia e Critica Letteraria. Dal 2019 porta avanti numerosi progetti didattici nelle scuole
elementari insieme all'associazione Siderea e alla casa editrice Isenzatregua, con cui collabora attivamente e con cui ha pubblicato nel 2022 Piccolo diario della guerra europea del 1914-1915, nel 2023 Epsodi e nel 2024 Scri(vi)viamo i quaderni di Daphne. Heartbeat e Scri(vi)viamo. I quaderni di Daphne. Heartbreak.
Per chi è incuriosito dalle vicende di Clio e dei suoi giovani amici universitari di "Cronache di un'universitaria"e vuole recuperarle, le può trovare tutte nella sezione dei Racconti della domenica di themeltinpop.com.
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