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Comfort zone

di Mirko Addesa



Photo by Unsplash

“7 x 3?”

“22!”

“No. No e no. 7 x 3 fa 21.”

“E chi lo dice?”

“La matematica. Non è opinabile. È matematica, cazzo.”

“E perché mai dovrebbe essere così? Quei due numeri accanto sono brutti, fanno differenza, non si intendono. Sono come due amanti mal disposti. Li guardi e pensi che non si siano trovati nel mondo, ma solo accettati.”

“L’età ti ha coglionato, lo sai? Sono solo numeri, li hanno creati perché avessero un senso nella loro essenza, non puoi, non devi cambiarne la logica, non puoi farlo, cazzo…”


Erick mi poneva sempre lo stesso quesito: moltiplicare i primi due numeri che vengono sempre in mente a chiunque. Fateci caso, avete mai sentito qualcuno chiedere “ 6 x 2”, o “4 x 4”? Io mai. “7 x 3” sempre. E nessuno che si sia mai chiesto il perché. Nemmeno io, a dire il vero. L’ho accettata come cosa, senza pormi domande assurde, senza delineare una diversità, insita in quell’essere diversi di per sé. Fino a ieri, o l’altro ieri, o ancora l’altro ieri del giorno prima del ieri.

Col tempo vedo le cose alla pari, le cerco e le trasformo, 22 mi pare più adeguato, uguaglianza, né più né meno, la similitudine degli esseri.

Da giovane avrei scelto il 2, sinuoso come il corpo di una bella donna, ti fermi a guardarlo, a scrutarlo, a raccoglierne gli effluvi mentali che riesce a far scorrere nella mente. Il 2 è così. Non puoi cambiarlo, modificarlo, diventerebbe altro, un 3 ad esempio, un doppio anticipo di cerchio senza fine, terribile gemellaggio di due metà inutili l’una all’altra.

Forse sono sempre stato un 2, meravigliosamente curvo e rettilineo, a seconda dei casi della vita. Se il punto di partenza era in alto, sapevo come scendere, come sterzare, frenare e accelerare fino alla retta via, in fondo, giù, sotto sotto, finalmente giunto alla meta. O, viceversa, dal basso, lento e poi di corsa, in salita, a sfiatare i polmoni, a tormentare il corpo, a finire dentro il tornante mozzato e poi tuffarmi sotto, per tornare sempre lì, alla retta, la retta via.

Non voglio essere 1. Guardatelo, una salita ripida e in cima una cappella, una minuscola tettoia, un accenno di discesa, un cazzo di niente. A volte mi chiedo come abbia potuto il mondo accettare che i più grandi si identificassero con questo numero di merda. Sei il numero 1. Ma vaffanculo, dai.

Il 2 è la vita, gli schiamazzi, le urla, il pericolo, lo stratagemma, qualcosa da ricordare e raccontare, starci sopra è avventura.

L’1 no. Sali e poi muori, piattume, noia, zero. Non ti ascolterebbe nessuno se gli narrassi un 1. È un film porno senza sesso visibile, soft core, senza senso. Un porno è porno, è così e se non si vede nulla a che cazzo serve, giusto?

“7 x 3?”


Erick è il mio custode. Ha una tela bianca addosso. Mi osserva e mi cura. Ma è un idiota. Sempre questa domanda, gli serve a capire se io sia ancora in grado di capire e ricordare, se non mi sia rincoglionito del tutto, ed io lo fotto sempre. E lui spiega, matematica, eh già.

A volte vorrei parlargli, esporgli le mie ragioni, che sono un ottantenne e che ho voglia di fantasticare, di inventare, di uscire dal seminato ad arte e rullare l’aratro a cazzo.

Ma non capirebbe. Un vecchio è un ammasso di rottami tenuti insieme col vinavil dei medicinali, col culo inadempiente che va per i fatti suoi, con l’urina che cola a tratti discontinui e disconnessi, coi pensieri vaganti come mine in un deserto, col cuore a strappi, con le mani fredde.

Ed io guardo quello di fronte, avrà quaranta anni, ha solo qualche graffio, due o tre punti sulla fronte, qualche macchia di rosso carminio.

Cosa vuoi che sia. Quando hai una canna dentro la gola ed una attaccata al cazzo, una borsa che si riempie di giallo ai lati del letto, un ago nella vena che pompa veleno. O forse è solo acqua.

Parlo con me, dentro di me.

E vorrei tanto quel letto, quello di fronte, il numero 2, quello dei graffi leggeri.

E invece sono qui, numero 1. Sto scendendo, a breve prenderò il vuoto, cadrò veloce, farò un botto.

Non lo sentirà nessuno. Sarà solo un rumore sordo: ventidueeeeeeeee, cazzooooooooo!!!

E poi in fondo, sempre in fondo, in fondo a tutto. Alla fine. Comfort Zone.

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