Un giorno d’estate del 1799, vicino alla Badia di Sant’Andrea
degli Erzelli, luogo bello e selvaggio, chiamato il Deserto
di Sestri, Luigia Pallavicini sta cavalcando in compagnia
di alcuni gentiluomini. La marchesa monta un bel cavallo
che ha intenzione di comperare. Vedendo l’ampio spazio
aperto davanti a sé e sentendo l’aria di mare che gli arriva
alle narici, il cavallo sente il richiamo della natura. Vuole
galoppare libero e si imbizzarrisce. Le figure della donna e
del cavallo si stagliano in controluce davanti al mare come
fossero una cosa sola. C’è un filo di vento, i capelli volano
intorno al bel volto terrorizzato di Luigia. Gli uomini al seguito
la vedono piegarsi e stringersi al cavallo, che si sta dirigendo
verso le onde, poi cambia rotta e torna a galoppare
infuriato sulla spiaggia di Sestri Ponente. Non si ferma, anzi
sembra correre sempre di più.
Luigia ha capito, è una donna sveglia, l’unico modo per
salvarsi è buttarsi giù, e lasciar andare il cavallo per la sua
strada. L’animale non si vuole calmare, non c’è niente da
fare. Bisogna decidere velocemente, ogni momento è come
fosse un secolo. C’è un tratto di sabbia, Luigia molla le redini
e si lascia andare. Ha sbagliato i calcoli, il cavallo sta
correndo così veloce che purtroppo cade su un viottolo acciottolato.
Gli altri cavalieri la raggiungono, è in una pozza
di sangue, ha battuto la faccia, ma è salva.
La chirurgia estetica era ancora di là da venire e Luigia rimase
sfigurata da una cicatrice. Non aveva ancora trent’an-
ni, era una donna colta e intelligente, frequentava poeti e
intellettuali. Una volta guarita non si chiuse nella sua bella
dimora per paura di non essere più attraente, ma tornò a
frequentare gli stessi salotti, indossando però un velo che,
secondo le testimonianze del tempo, la rese ancora più affascinante.
I poeti fecero a gara per dedicarle versi, tra di loro
c’era anche il giovane Ugo Foscolo, che scrisse la sua ode,
intitolata A Luigia Pallavicini caduta da cavallo.
«Te fra le dive Liguri / Regina e diva! e fiori / Votivi all’ara
portano / D’onde il grand’arco suona / Del figlio di Latona».
Questo dice Foscolo a Luigia: fra le donne liguri, tutte belle
come dee, sei la regina e la più bella! È una donna sfigurata,
eppure è passata alla storia grazie a questa poesia, che
ben restituisce la venerazione intorno al suo personaggio.
Foscolo, tra l’altro, l’ha conosciuta dopo la caduta da cavallo.
Quindi l’avrà mai vista in volto?
Il marito di Luigia, il marchese Luigi Pallavicini, muore
qualche anno dopo la caduta da cavallo, lei ha trentatré
anni. In quelle condizioni, la marchesa lo ritrova un uomo?
Ebbene sì, e anche più giovane di lei. Dopo un lungo periodo
di lutto, a quarantasei anni, si risposa con Enrico Stefano
Prier, il cancelliere del console francese presso la Repubblica
di Genova. È interessato ai soldi della marchesa? No, ne
ha tanti anche lui. Probabilmente rimane colpito dalla cultura
e dall’educazione raffinata di Luigia, nonché dall’aura
che si è creata intorno al suo personaggio.
Quante donne hanno avuto l’onore di una poesia a loro dedicata dal Foscolo?
Nell’ode il poeta romantico implora le Grazie affinché
aiutino la donna ferita portandole balsami e lini, usati anche
da Venere punta da uno spino, mentre versava lacrime per
la morte di Adone. Gli Amori piangono per Luigia e stanno
offrendo voti al dio Apollo perché lei guarisca e possa tornare
a danzare. Foscolo poi sgrida la marchesa Pallavicini
per essersi dedicata anche a un’attività virile come l’ippica e
non solo alla poesia, chiedendole perché mai abbia rivolto
le sue belle forme e il suo ingegno docile ai giochi senza
grazia di Marte, dio della guerra. Il poeta prosegue raccontando
l’incidente e rivolgendosi di nuovo agli dèi: è Nettuno
che, secondo Foscolo, ha salvato Luigia. Ammaccata sì,
ma almeno viva. Il poeta poi se la prende con chi insegna
alle dame l’arte del cavalcare e prega affinché Luigia, come
Diana sfregiata in viso dopo una caduta dal cocchio, torni a
essere più bella di prima.
Ugo Foscolo è a Genova in quel periodo per combattere al
comando del generale Massena, con le truppe napoleoniche.
Si sta dedicando alle arti virili, per cacciare gli austriaci e gli
inglesi che stanno assediando Genova. In ballo c’è la difesa
dei sacri principi di libertà, uguaglianza e fratellanza, portati
dalla rivoluzione francese, che ha Genova come ultimo
caposaldo. Per questo, Foscolo è arrivato in città, malgrado
la delusione nei confronti dei francesi che hanno ceduto la
sua Venezia all’Austria con il trattato di Campoformio, decretando
la fine della gloriosa Repubblica marinara.
Siamo alla fine di aprile del 1800, vicino al forte Diamante,
presidiato dai Cisalpini. Gli austriaci sono sulla cima di
fronte, non sono ancora stati costruiti i forti del Fratello
Maggiore e Minore. Intimano ai napoleonici la resa, ma i
francesi, invece di arrendersi sfiduciati, passano all’attacco
e sbaragliano l’esercito nemico. Il capitano Foscolo combatte
con generosità per ore, corre per i sentieri e per i prati,
scavalcando rocce e gettandosi nella mischia come un buon
soldato che crede in quello per cui sta combattendo. E ora è
appena caduto ferito a una gamba.
Come Luigia, ha rischiato la morte, ma non è ancora giunta
la sua ora. Ci viene da pensare: cosa ci fa un poeta in
guerra, uno spirito avventuroso e romantico che dialoga con
le muse, che implora gli dèi e le dee per salvaguardare la
bellezza di una dama caduta da cavallo, un uomo capace di
costruire con i suoi versi immagini destinate a durare nei secoli?
La guerra si addice a un artista? Ci viene da supporre
che Foscolo, nel momento in cui è stato ferito, lassù in cima,
vicino al forte Diamante, che domina Genova dall’alto, si
sia distratto perché stava ammirando uno dei panorami più
belli che avesse mai visto nella sua vita. Da lassù ancor oggi
si vede la costa, la val Polcevera e la val Bisagno, allora immerse
nel verde, e tratti della catena montuosa che cinge la
Liguria. Lo sguardo in certe giornate si può perdere fino
al Monviso. Cuor di poeta, di fronte a tanta bellezza lascia
vagar la mente, e cade ferito.