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Storia di un corpo. Il circo delle meraviglie di Giuseppe Cederna





Dal sito del Teatro Nazionale di Genova


Mercoledì 17 gennaio al Teatro Duse di Genova debutta Storia di un corpo per la regia di Giorgio Gallione, tratto dall’omonimo romanzo pubblicato da Daniel Pennac nel 2012.

Si tratta di un diario che il protagonista lascia a sua figlia Lison dopo la sua morte. Il diario racconta la vita del protagonista dall'età di 12 anni fino alla sua morte.

Al centro di queste pagine regna, con tutta la sua fisicità, il corpo dell'io narrante che ci accompagna nel mondo, facendocelo scoprire attraverso i sensi. Giorno dopo giorno, con poche righe asciutte o ampie frasi a coprire svariate pagine, il narratore ci racconta un viaggio straordinario, il viaggio di una vita, con tutte le sue strepitose scoperte.



Protagonista sul palcoscenico - dal 17 al 21 gennaio - sarà Giuseppe Cederna, in uno spettacolo per un uomo solo, così come lui lo definisce. Ecco cosa ci ha raccontato.


 

In "Storia di un corpo" si cambia lo sguardo sull’esistenza, narrata non più attraverso le reazioni e le metamorfosi dell’anima ma attraverso quelle concrete del corpo.

Che cosa diventa il corpo in questa narrazione? E cosa è per te?

 

Ho cominciato facendo il clown, l'acrobata e il mimo. Quindi per me il corpo è sempre stato uno strumento molto importante, un modo per conoscermi e per raggiungere una consapevolezza che parte dalla fisicità. È un corpo molto vivo.


 

Quando l’opera di Pennac uscì suscitò reazioni contrastanti: chi la considerò un illuminante e coraggioso approccio narrativo, chi qualcosa che rasentava l’osceno. Pennac disse che ciò dipendeva dal fatto che parlare del proprio corpo è molto spesso un tabù. Ritieni che sia così? Quali reazioni osservi tra il pubblico?

 

Questo è uno spettacolo molto coraggioso, me ne sono reso conto facendolo. Parla del corpo con grande amore e affetto. Uno spettacolo per tutti, dai 12 ai 90 anni. Si inizia raccontando il corpo di un ragazzino dodicenne che ha un pessimo rapporto con la madre. A mano a mano si affrontano i cambiamenti con ironia, le reazioni alla vita e ai lutti con la leggerezza con cui ci ha abituato Pennac.


La nostra meravigliosa macchina per vivere dà voce agli aspetti più ironici dell’adolescenza, caratterizzati dalla scoperta, travolgente, della sessualità. Ci si commuove e si riflette con la descrizione del corpo vecchio, rovinato. La regia di Giorgio Gallione è molto curata, si percepisce che ci teneva molto a questa storia, è molto scrupoloso e perfetto per la mia interpretazione. Anche la scenografia di Marcello Chiarenza è curata nei minimi particolari. È stata allestita come fosse un piccolo circo con dettagli da artista. Valigie che cambiano funzioni in un gioco esplosivo. Un circo portatile e viaggiante. Per questo lo definisco un vero e proprio spettacolo con un attore solo.


Si ride del proprio corpo e ci si commuove con un piccolo miracolo verso il finale, quando il protagonista a 75 anni ha un’avventura amorosa, raccontata con delicatezza e garbo.

E con leggerezza.

 

Il pubblico si diverte e si commuove con me, alla fine applaude perché non assiste da fuori allo spettacolo ma attraverso me ripercorre la sua vita. Il mio corpo diventa quello degli spettatori, uomini e donne, grazie anche alla scrittura unica di Pennac che ha un’attenzione particolare al femminile.  

C’è una frase che lo zio scrive al protagonista quando ha appena tredici anni: “La donna è un mistero per l’uomo. Disgraziatamente, non è vero il contrario”. Qui di solito chi ride di più sono le donne.

 

 

In vecchiaia si perde la vista ma spesso si guadagna in consapevolezza. Come si possono conciliare decadimento fisico e saggezza?

 

Il decadimento è da vivere con leggerezza e con coraggio. Anche solo il fatto di poter raccontarlo e di non piangersi addosso. La vita è questa. Guardare il cielo e ringraziare di essere vivi. Questo spettacolo mi rappresenta dalla testa ai piedi. 

È il più bello. Voglio bene a tutti i miei spettacoli ma a questo un po’di più.  


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