di Arianna Destito Maffeo

Il Maresciallo in pensione Adalgiso Maffeo trascorreva le giornate nel suo vecchio
quartiere di Nervi a Genova. Un quartiere per modo di dire, nessuno lo chiamava
così. Nervi era un paese, anzi, Nervi era semplicemente Nervi. Un posto che brillava di luce propria. Dove le palme svettavano, il sole era prepotente e l’aria frizzante del mare solleticava le narici come un bicchiere di champagne.
Fu proprio lì che per molto tempo il Maresciallo Adalgiso Maffeo aveva vissuto e lavorato. Ora non gli restava che prendere il gelato da Giumin e passare di tanto in tanto dal vecchio commissariato a salutare i nuovi agenti.
L’irreprensibile Maresciallo era ben voluto da tutti. Per molto tempo si era distinto per il suo fiuto investigativo e qualche volta era anche finito sui quotidiani locali.
Aveva partecipato alla cattura del famoso ladro della Costa Azzurra. Quello che
ispirò il film Caccia al ladro con Cary Grant, per intenderci. Si diceva persino che in
tempo di guerra avesse nascosto una famiglia ebrea nel suo ufficio sotto al naso
degli ufficiali nazisti che davano loro la caccia.
A molti dava fastidio il suo modo di condurre gli interrogatori, con il piglio e la
gentilezza delle buone maniere, in pratica faceva cantare i delinquenti, offrendogli il
caffè e un sostanzioso pasto. Il risultato era quasi sempre garantito.
Al Maresciallo Maffeo non la si faceva.
Una mattina aveva deciso di portare ai Parchi di Nervi la nipotina Irene, di sette
anni. Una bambina strana, pensava. Non ride mai. E guarda con certi occhi glaciali.
Quando lo fissava lui si sentiva a disagio.
Il Maresciallo osservava Irene giocare, sembrava che la bambina vivesse in un
mondo tutto suo. Spesso evitava gli altri bambini, sembrava annoiarsi con loro. In
compenso giocava con la terra, le foglie, i rametti, in un angolo che sembrava una
casetta ricavata tra alberi e ponticelli di legno. Era davvero strana.
Sia chiaro, adorava Irene, ma qualcosa gli sfuggiva. L’istinto del poliziotto non lo
abbandonava neppure in pensione. Soprattutto vedeva pericoli ovunque. E cercava
di mettere in guardia la piccola nipote. “Irene, li vedi quei ragazzi lì? Sono dei
drogati” le sussurrò all’orecchio, indicando un gruppo di giovani euforici ai bordi del
prato.
“Ballano, nonno”.
“E certo, sono sotto l’effetto della droga”. Non aggiunse altro ripromettendosi di
impegnarsi di più per seguire quella strana nipote.
Fino a che, tra un pensiero e l’altro, quel giorno successe l’imprevedibile. Uscì dal vespasiano accanto al cancello dei Parchi e sua nipote non c’era più. In un attimo gli successe quello che non avrebbe mai immaginato. Lui, il poliziotto tutto d’un pezzo, quello a cui non sfuggiva niente, si era perso sua nipote. Si sentì mancare, liquefare. Tirò fuori dalla tasca il fazzoletto e lo passò intorno al viso. Cominciò a far domande a chiunque gli passasse
accanto, pensò ai drogati nel prato, che erano spariti nel nulla anche loro. Gli scenari
più drammatici ormai abitavano i suoi pensieri affannati. Si precipitò in men che non
si dica nel commissariato di Nervi, dove allertò gli agenti e le volanti. Ma di Irene
nulla. Finchè non si diresse al capolinea del bus numero quindici. La vide lì, seduta,
in attesa che l’autobus partisse.
“ Ma tu qua stai?” riuscì solo a sussurrare nel suo dialetto campano. Irene lo guardò
accennando un mezzo sorriso, “ Andiamo a casa, nonno?”. Il Maresciallo senza
parole si sedette accanto alla nipote. Il bus accese rumorosamente il motore e partì,
accompagnandoli in silenzio verso casa.
Era strana davvero, sua nipote si disse con un sospiro di sollievo.
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