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DIZIONARIO DEL LUNEDÌ: riparare



DIZIONARIO DEL LUNEDÌ


riparare v.tr. 1. Proteggere, difendere; 2. Rimediare a qualcosa di negativo; 3. Rifugiarsi; 4. Aggiustare, accomodare

Febbraio è un mese perfido. Inizi la giornata con un cielo azzurrissimo e un tiepido sole, che comincia a far spuntare le gemme sui rami e a diffondere tenui profumi di primavera. Esci di casa con il tuo cappottino leggero, convinto di esserti ormai lasciato il peggio alle spalle e, passando davanti alle vetrine, cominci ad occhieggiare camicette a fiorellini e abitini smanicati, sognando spiagge e pedalò. Un minuto dopo tutto si sovverte: il cielo diventa bianco latte, ti investono venti artici a centocinquanta chilometri all'ora e le temperature s'inabissano sotto la soglia della negatività, da cui a volte non bastano a ripararti strati di sciarpe, berretti e cappotti che ti trasformano in uno yak.


Non ti resta che ripiegare, novello Napoleone dopo la campagna di Russia, e riparare nel tepore di casa tua, vicino alla stufa, con corredo di tisana bollente, per ripristinare la circolazione nelle dita irrigidite, cercando di mettere al riparo da un principio di congelamento i tuoi avventati sogni di brezze estive.


Insomma, ci vediamo costretti a correre ai ripari e, prima che sia troppo tardi, riparare al tragico errore di prospettiva. In ogni caso non siamo certo infallibili ed è confortante pensare che, se si sbaglia, sia possibile rimediare, riparando al nostro errore. L'infallibilità non è cosa di questo mondo. Si può riparare a un danno, a un'offesa ed è possibile farlo colmando un'ingiustizia. Insomma, persino il terribile Innominato poté riparare al male fatto. Ma se proprio l'hai fatta grossa, puoi sempre dileguarti e riparare oltreconfine.


E poi ... esiste sempre settembre, il mese degli esami di riparazione. Certo, rimandato di una o più materie, l'estate te la sei un po' giocata e mentre gli amici si divertono in spiaggia, tu sudi svogliato sopra il libro di fisica. Ma poter riparare resta una grande opportunità e un'ancora di salvezza per molti.

Avete mai pensato a quanti mestieri, molti dei quali ora non esistono più, si rifacevano al concetto di riparare? Se ti si rompeva un tacco o avevi la suola consumata, portavi le tue scarpe dal ciabattino, che te le rendeva praticamente nuove. E quando una folata di vento ti rompeva l'ombrello, ingarbugliandone le stecche, lo portavi dall'ombrellaio. La stessa cosa succedeva con i coltelli, che l'arrotino ti affilava, o con le camicie, a cui la sarta rifaceva colletto e polsini, consumati dall'usura. Se bucavi la gomma della tua bicicletta, il mastice del ciclista te la riparava. Oggi tutto questo non esiste più e ciò che si rompe, viene buttato senza appello.


Eppure nel riparare è insito un senso di amore e di cura. Riparare è ridare vita a ciò che si è ammaccato, che è invecchiato sì, ma ancora può funzionare. È regalare una seconda, magari anche una terza possibilità. È dire che si può cadere e ci si può rialzare, che le cicatrici possono essere la geografia di un'esperienza, che c'è un valore in ciò che ci accompagna. Riparare permette di non sprecare, di produrre montagne di rifiuti che non sappiamo più dove mettere. Riparare allunga la vita, tramanda gli oggetti di mano in mano, asseconda un affetto, protegge un ricordo.


L'antica arte giapponese del kintsugi - riparare le ferite di ciò che si è rotto impreziosendolo con suture in oro - nasce da una filosofia che vuole esaltare le imperfezioni e che vuole dare valore ai segni che ci portiamo dietro, alle cadute, ai fallimenti, agli errori, a tutto quello che ci rende ciò che siamo: anime fallibili e imperfette che trovano la loro bellezza nell'unicità del proprio percorso di rinascita.


E voi gettate via o riparate?

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