È vero che d’estate si legge di più?
- Redazione TheMeltinPop
- 6 giorni fa
- Tempo di lettura: 8 min
Una domanda da ombrellone (con un libro in mano, forse)
a cura di Antonella Grandicelli

“E ora si avvicinava il crepuscolo. Un mare di verde profondo si allargava nel cielo come un vino bizzarro, attraverso quel vasto verde vagavano nuvole grigie pigramente sospinte da una tenera brezza.”
Altre voi, altre stanze, Truman Capote
Ormai da qualche anno, a volte a partire già dal mese di maggio, arrivano puntuali sulle riviste cartacee o online i consigli per “i 10, 100, 1000 libri da leggere questa estate”. Liste di letture che vanno da romanzi così leggeri che non lasciano nessuna impronta nella tua mente come i piedi nudi sul bagnasciuga, a quei tomi di minimo settecento pagine, che messi in valigia ti obbligano a pagare il supplemento per il peso al check-in.
C’è questa idea, diffusa dai giornali e dai media in genere, che d’estate si legga di più. Che appena arrivano il caldo e la bella stagione, la gente cominci ad affollare le librerie (vere o online), a fare liste di libri da portare in vacanza, a infilare romanzi nei trolley come fossero ciabatte da mare e a leggere compulsivamente sotto l’ombrellone, tra una granita al limone e una spalmata di crema solare. Ma è davvero così?
O è un’idea un po’ vintage, un po’ nostalgica, figlia di tempi in cui l’estate era lunga, noiosa e i social non esistevano? Un tempo in cui le vacanze erano villeggiature e non il break di tre giorni in cui cerchi di disintossicarti dallo smartphone mentre lo guardi ogni cinque minuti?
Ci ho riflettuto un po’ su. E quello che segue è un tentativo di ricordare com’era per me leggere d’estate. E di pensare a com’è oggi.

“Qualche volta pensava che quell’estate non sarebbe finita più, e insieme che bisognava far presto a godersela perché, cambiando la stagione, qualcosa doveva succedere”
La bella estate, Cesare Pavese
Un tempo, d’estate si leggeva. Eccome.
Ho sempre sognato di viaggiare. Partiamo da qui: per me una volta leggere d’estate era un modo per viaggiare, per muovermi in un universo di carta, sdraiata a pancia sotto sul letto. Un modo per evadere dalla prigionia dorata (e – perché no – benefica) della noia. Per quelli della mia generazione, a scuola finita, si spalancavano eterne giornate di sole, calore e sudore. Giornate fatte per sognare, appunto.
All’inizio, grande entusiasmo: gli amici che ti vengono a chiamare attaccandosi al citofono con il fatidico “Scendi?”, le partitelle a pallone nel cortile, il gelato in piazza, le vasche su e giù per le vie del quartiere. Dopo una settimana e il termometro che si avvicinava ai trenta gradi (sì, ai miei tempi trenta gradi era già una temperatura di tutto rispetto), l’entusiasmo dava qualche segno di cedimento e si finiva come gli avvoltoi di Mowgli a ripertersi per tutto il pomeriggio “Che cosa facciamo?”. Il libro, da leggere magari all’ombra o con il ventilatore sparato in faccia, diventava allora un’alternativa molto attraente. Uno splendido modello di pigrizia produttiva.
Arrivato agosto, cominciava la diaspora. Molti gli appartamenti vuoti, i cortili abbandonati a sbiancarsi al solleone, le vie del quartiere deserte, i negozi con il cartello verde “Chiusi per ferie” scritto con il pennarello. Fatti su la tenda, i sacchi a pelo e il fornelletto a gas, si partiva per il mare, la campagna o la montagna con la famiglia o si andava a trovare i parenti e si restava lì per un mese. Qualche fortunato che aveva i nonni a disposizione, a volte anche due. Anche se sembrano tempi mitologici, era proprio così. Era quello un tempo di pomeriggi infiniti in cui non succedeva assolutamente niente. Nessun Netflix, nessun Wi-Fi, nessun TikTok. Solo caldo, mosche e il rumore lontano di qualcuno che tagliava l’erba o delle onde sulla battigia. E allora si leggeva.
Magari un classico che ti avevano “consigliato” a scuola (cioè imposto, diciamocelo). Oppure un romanzo d’amore che tua madre aveva preso all’edicola insieme Grazia o a Confidenze o qualcuno di quelli che giravano tra le sdraio dei vicini e ti arrivavano con le pagine ingiallite dal sole. Tutto andava bene sotto un albero o un ombrellone. Si leggevano i gialli di Agatha Christie e Simenon, i romanzi di Sveva Casati Modignani, gli Oscar economici. Leggere era comunque una compagnia, un rifugio, una distrazione.
Se ci ripenso, la mia cultura letteraria deve molta gratitudine a quelle lunghe estati. Perché fu allora – tredicenne annoiata e decisamente un po’ troppo solitaria - che conobbi e mi innamorai di Pavese, Buzzati, Svevo, Pirandello, Tomasi di Lampedusa, ma anche delle estati assolate ed esotiche raccontate da Steinbeck, Capote, Harper Lee. Fu allora che viaggiai a lungo, seduta all’ombra di un castagno con un libro tra le mani. Il sapore di quelle letture aveva qualcosa di irripetibile. E, ammetto, il pensiero mi da un po’ di nostalgia.

“Si erano attraversati paesi dipinti in azzurro tenero, stralunati; su ponti di bizzarra magnificenza si erano valicate fiumare integralmente asciutte; si erano costeggiati disperati dirupi che saggine e ginestre non riuscivano a consolare. Mai un albero, mai una goccia d’acqua: sole e polverone.”
Il Gattopardo, Giuseppe Tomasi di Lampedusa
E oggi? Si legge ancora in estate?
Sì, continuo a leggere, ma diversamente da una volta. Il lavoro, le incombenze, i tanti interessi (a volte effettivi, a volte indotti) risucchiano il nostro tempo, che sia inverno o estate. I viaggi, che in passato si potevano solo sognare, oggi sono più facili da realizzare. Intanto, l’estate non è più quella di una volta (non solo per via del cambiamento climatico). E nemmeno le vacanze. Quelle che ci concediamo sono più brevi, più frenetiche, spesso frammentate. Si fanno weekend lunghi, soggiorni mordi e fuggi, esperienze brevi da condividere subito sui social. Che si vada in spiaggia o in una malga alpina, a seguirci è più spesso lo smartphone di un romanzo.
Il tempo dedicato ad una sana noia non esiste più. Dobbiamo riempirne ogni anfratto, ogni minuscolo istante. Tutto deve essere esperienza instagrammabile, dal morso alla fetta d’anguria al rafting giù per i torrenti di montagna. E se ci si annoia, si scrolla. Le foto sullo stato di Whatsapp, i reels su Instagram, i video su Tik Tok, la musica o i podcast di true crime su Spotify. La lettura, in questo panorama, ha perso un po’ del suo spazio naturale. Non sparita, ma scesa più in basso nella classifica dell’attrattività.
Tuttavia, i dati statistici – almeno quelli dell’era pandemica e quelli degli ultimi anni – raccontano sempre di un picco estivo dei consumi editoriali, soprattutto nei mesi di luglio e agosto. Le vendite aumentano, le librerie fanno le “selezioni estive”, gli editori puntano su uscite leggere e di richiamo o su promo allettanti per svuotare un po’ i magazzini. La gente, insomma, i libri sembra comprarli davvero. Ma poi li legge?

Comprare un libro non è (necessariamente) leggerlo
Tutte le estati molti sono i miei buoni propositi e sempre più pesanti gli zaini in cui stivo una tale quantità di libri che, se solo fossi un po’ più sincera con me stessa, ammetterei l’impossibilità di leggerli tutti. Quell’autore che è da tanto che è sullo scaffale della libreria? Quella novità che bisogna assolutamente conoscere? Quel classico che è giunto il momento di rileggere? Tutti dentro, fra magliette e calzini. E poi ci sono le offerte. Come dire di no ai 3x2 letterari? Come rinunciare a quel simpatico gadget che mi regalano con solo un piccolo sforzo da due tomi? E una lettura non troppo impegnativa non la vorrai prendere, giusto in caso ti sentissi stanca e volessi rinfrescarti un po’? Insomma, lo ammetto, d’estate divento bulimica e anche un po’ compulsiva.
Ecco un piccolo segreto che, sono sicura, tanti di noi condividono: molti dei libri che compriamo in estate non vengono letti. O comunque non subito. Spesso finiscono in valigia come accessorio culturale. Si portano al mare come si porta la crema doposole: per sicurezza. Per sentirsi un po’ meglio con sé stessi. Per dire (e dirci) “Appena ho un attimo, leggo”. Solo che, poi, l’attimo non arriva mai. Oppure arriva, ma è occupato da un reel su Instagram, da un podcast, da una telefonata.
E il libro resta lì, sulla sedia a sdraio o abbandonato in valigia. Nella migliore delle ipotesi, lo apri, leggi cinque pagine, poi lo richiudi perché una notifica ti interrompe, perché fa troppo caldo per pensare, perché magari è meglio rimandare al dopocena. E così non lo riprendi più. O lo recuperi a novembre, quando l’estate è un ricordo lontano e il libro riemerge come una conchiglia portata a riva, con le pagine appiccicate dall’umidità e dall’odore di salsedine.
Chi legge d’estate? E cosa legge?
Chi davvero è un lettore forte, in realtà, legge tutto l’anno. E forse l’estate è solo un’occasione per leggere di più - o con meno sensi di colpa. Molte persone approfittano del periodo estivo per recuperare libri lasciati indietro. Altri cercano testi leggeri, scorrevoli, divertenti. Qualcuno si butta su grandi classici, perché finalmente ha il giusto e doveroso tempo da dedicargli. Altri ancora esplorano, si buttano su generi nuovi, magari fantasy o distopici, proprio perché la mente è più aperta, più rilassata.
Ci sono poi i lettori da ombrellone, categoria assolutamente nobile perché di sicuro più sincera e meno snob. Gente che ama le storie che scorrono, che ti avvincono senza pretendere sforzi inadeguati all’occasione. I thriller da un capitolo al giorno per raffreddare l’aria bollente, le storie d’amore da concludersi con una lacrima che scende dritta nel bicchiere del mojito, le biografie dei personaggi famosi, che te le raccontano così tribolate e drammatiche che hai l’impressione che la tua vita in confronto alla loro sia stata una passeggiata.

“Ricordo i nomi che da bambino davo alle erbe e ai fiori nascosti. Ricordo dove si trova il rospo e a che ora si svegliano d'estate gli uccelli – e l'odore degli alberi e delle stagioni – che aspetto aveva la gente e come camminavano; ricordo anche il loro odore. La memoria degli odori è molto tenace.”
La valle dell’Eden, John Steinbeck
Ma perché associamo la lettura all’estate?
Perché ci piace questa immagine: il libro tra le mani, il sole sul viso, il rumore delle onde, il tempo che si dilata. È un’immagine di libertà. Forse perché in estate ci concediamo di più, ci diamo il permesso di fermarci, il permesso di non “fare”. Ci gustiamo la compagnia di noi stessi, la tranquillità, il silenzio. E i libri non pretendono, non disturbano. E in estate, quando finalmente possiamo abbassare il volume del mondo che ci circonda, ci accorgiamo che c’è spazio per dedicarci a noi e a loro. Questo è l’effetto che mi fa leggere d’estate.
Inoltre, c’è qualcosa di corporeo nella lettura estiva. Si legge all’aria aperta, con le dita dei piedi nella sabbia o lo stormire delle foglie sopra la testa; sdraiati su un prato o su un amaca. Il libro si sporca, si bagna, si piega. Le pagine si gonfiano. A volte si appiccicano. Lo dimentichi sulla sdraio, lo ritrovi con le parole scolorite. Forse è anche per questo che i libri letti d’estate restano più impressi. Non solo per quello che ci raccontano, ma anche per il momento in cui li abbiamo letti, l’età che avevamo, la persona che eravamo, quelle con cui eravamo. Molti dei miei libri di allora portano i segni di quelle estati: un’impronta, un fiore secco dentro le pagine, la cartolina di un’amica usata come segnalibro o la carta dei Brooklyn alla cannella. E ogni segno, ogni piega, ogni macchia, diventa un ricordo dell’estate stessa.
E se non è vero che leggiamo di più, è davvero un problema?
Questa è la domanda a cui infine si giunge. Se oggi si legge meno, se la lettura non è più l’attività che contraddistingue l’estate, dobbiamo preoccuparci? Forse sì, ma nemmeno troppo. Non è di questo che dovremmo davvero preoccuparci. La verità – magari anche ovvia e un po’ banale - è che i tempi cambiano, le abitudini si trasformano. Oggi leggiamo più di quanto crediamo, anche se con più superficialità e meno attenzione: post, articoli, newsletter, sottotitoli, meme, chat infinite. Il nostro cervello è costantemente invaso da parole che il più delle volte ci scivolano sopra come se fosse un pavimento lucido di cera.
La sfida, semmai, è tornare a fare della lettura un momento di approfondimento, un momento di riflessione e conoscenza. Ritrovare la capacità di essere curiosi, di andare incontro alle storie che davvero ci appassionano (e al diavolo il mainstream), di scegliere ciò che vogliamo davvero conoscere e non farci scegliere da algoritmi che decidono loro a che cosa dobbiamo interessarci. Rallentare. Ritrovare la capacità di dilatare il tempo, magia che la lettura di un buon libro riesce sempre a fare.
E per questo, forse, l’estate resta ancora il momento migliore.
A questo punto, lascio a voi decidere se siete lettori da ombrellone, se l’estate è per voi davvero la stagione dei libri, se leggere di luglio e d’agosto permette alle storie di imprimersi meglio nella vostra mente. E se forse non sia meglio prediligere la qualità alla quantità.
P.S. Quanti di voi mi stanno leggendo in vacanza?
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