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«Rischiamo d'innamorarci dell'ombra». Pablo D'Ors

Intervista di Eduardo Laporte

Traduzione dallo spagnolo di Alessandro Gianetti





Pablo d'Ors è nato a Madrid nel 1963. Nipote del celebre saggista e critico d'arte Eugenio d'Ors, è stato discepolo del monaco e teologo Elmar Salmann. Dopo essersi laureato a New York e aver studiato diritto, filosofia e teologia, viene ordinato presbitero cattolico nel 1991, e viene destinato alla missione claretiana dell'Honduras. In seguito, consegue il dottorato a Roma con una tesi intitolata Teopoetica. Teologia dell'esperienza letteraria, e completa i suoi studi a Vienna e Praga, dove si specializza in germanistica. Ha studiato teologia comparata in Germania e adesso fa il sacerdote, ma è anche uno scrittore di successo, e dal 2014 fa parte del Consiglio Pontificio per la Cultura.



From Wikipedia: Pablo d'Ors a Mantova per il Festivaletteratura 2012. Autore: Niccolò Caranti.

Il suo romanzo Contro la gioventù (2015), pubblicato un anno dopo il celebre di Biografia del silenzio (Vita e Pensiero, 2014) uscirà quest'inverno in Italia per la collezione Xaimaca di Arkadia Editore. Eduardo Laporte, giornalista e scrittore spagnolo, l'ha intervistato a Madrid e mi ha gentilmente concesso di tradurre il contenuto della loro conversazione. Si parla del suo ultimo libro, Biografía de la luz (Galaxia Gutenberg, 2021), della meditazione, una pratica alla quale d'Ors dedica gran parte del suo tempo, e all'influenza che ha avuto l'ultimo periodo d'isolamento dovuto alla pandemia sulla sua vita personale.


Nel suo libro Entusiasmo, il protagonista cita libri come Racconti di un pellegrino russo e Il Vangelo di Tolstoj, testi chiave nella sua formazione, letture giovanili che hanno significativamente influenzato la vocazione religiosa del personaggio. In Biografía de la luz, mi sembra di ritrovare alcuni di quegli elementi, ma con alcune differenze. Se in quei libri avviene una sorta d'introduzione alla vita religiosa, in Biografia de la luz si può leggere un invito alla vita autentica, a una vita piena. È d'accordo?


Una religione che non serve la vita è una religione vuota, questa è la prima cosa che vorrei dire. Se una religione non alimenta lo spirito si limita al folklore o, al massimo, alla cultura. A me interessa lo spirito, in qualsiasi manifestazione: arte, amore, culto, letteratura... Senza chiedermi il permesso, la mia anima corre verso le fonti dalle quali si nutre. Faccio notare che la parola spiritus ha la stessa radice di «respirare»; mi dirigo verso ciò che mi aiuta a respirare, ovvero a unirmi in modo più profondo all'ambiente che mi circonda e a me stesso.


Condivide l'intento de Il Vangelo di Tolstoj di decifrare le sacre scritture e salvarne la luce, il fuoco, per recuperarne il valore?


Tolstoj è un maestro, io sono solo un apprendista. Le parole non sono state inventate per nominare la realtà, sono il segreto della realtà stessa. Non c'è alcuna separazione tra le parole e la realtà, questa presunta divisione è il nostro problema. Le parole sono lì per illuminare, per irradiare, per riscaldarci quando abbiamo freddo. Questo è il significato della poesia. Anche quello delle parole sacre, che sono sacre proprio per la loro capacità di ardere nel cuore umano. Sì, voglio entrare nelle parole. Senza di loro la mia vita sarebbe molto triste.


Quante ombre o “nuvole nere”, come diceva Luis García Montero, ha dovuto superare, per raggiungere il sentiero della luce?


Molte. Naturalmente non dico di aver raggiunto la luce, ma sono più vicino ad essa. Non ho ancora finito di percorrere la mia strada, ma vedo che mi avvicino all'obiettivo. Io non sono solo un nucleo di luce, mi sento anche costituito da un - chiamiamolo così - territorio oscuro. Lì trovo una profonda insoddisfazione, un sentimento d'inferiorità, un'insicurezza strutturale, paura, colpa... Tutto questo è, fondamentalmente, ciò che viene illuminato e redento (cambiato di segno) quando s'intraprende un cammino spirituale. Mantenersi amorevolmente nell'oscurità, questa è la chiave della pratica meditativa.


Lo scrittore giapponese Jun'ichirō Tanizaki scrisse un elogio dell'ombra... Il suo libro è anche un elogio di quella parte oscura che ci portiamo dentro e che, purtroppo, tendiamo a ignorare, a differenza di un personaggio del suo libro che, grazie alla sua caduta in disgrazia, ottiene la luce sufficiente a comprendere “le cose più ermetiche e arcane”. Crede che anche il suo libro potrebbe essere letto come una “biografia dell'ombra”?


Senza dubbio. «La contraddizione è il criterio della realtà», ha scritto la mia amata Simone Weil. Siamo ombra e luce, entrambe le cose. Siamo notte e giorno, come ci dice ogni giorno la natura. Non si tratta di superare l'ombra e di lasciarsela alle spalle, ma di abbracciarla e integrarla. Abbracciarla significa smantellare il suo potere distruttivo, privarla del suo veleno. Non possiamo vivere senza la parte oscura, ma possiamo vivere senza che la parte oscura ci domini. Il pericolo che corriamo è d'innamorarci dell'oscurità e, di conseguenza, smettere di credere nella luce.


Che rapporto ha con il taoismo? Le interessa? L'ha studiato a fondo?


No. Da quando avevo vent'anni mi sono sentito attratto da tutte le religioni, e ho voluto studiare misticismo comparato e fenomenologia delle religioni. Ma la verità è che la letteratura ha finito per risultare più interessante, e le ho dedicato i miei anni di dottorato. Per sette anni, questo sì, sono stato uno studente Zen, con tre maestri diversi, così che il buddismo, anche se non posso dire di conoscerlo, l'ho frequentato e mi ha affascinato. Ho amici taoisti e la loro filosofia mi sembra splendida, ma io mi sento profondamente cristiano.


Lei sostiene che la poesia sia il miglior linguaggio per parlare della verità, forse l'unico. Siamo forse rimasti incastrati nell'Illuminismo, mettendo la ragione su un piedistallo e sminuendo tutto il resto? Il suo libro può essere letto anche come un ritorno a Tommaso d'Aquino, cioè a una riconciliazione tra ragione e fede?


Agli occidentali non restano che due miti: l'amore romantico e la scienza, con la sua naturale conseguenza: la tecnica. Il motore della scienza è voler capire tutto, poiché esalta la ragione. Quello della tecnica, voler dominare tutto, mettendo ogni cosa al nostro servizio. Personalmente, credo di aver scoperto un modo migliore. Possiamo vivere senza capire tutto e senza mettere tutto al nostro servizio. Possiamo vivere nella semplicità. È a essa - alla semplicità – che siamo chiamati. No, lo scopo della mia Biografía de la luz non è conciliare ragione e fede, bensì mostrare che il cammino spirituale è percorribile, sensato e che - lo sappiamo o no - lo stiamo chiedendo a gran voce.


Crede che questo periodo di pandemia, questo isolamento forzato, questa traversata del deserto, genererà qualche nuovo Zaccaria, ovvero un rinato, alcune dosi di ri-nascita?


Certamente. Sta già nascendo un nuovo paradigma. L'arte non cerca più la bellezza, si adegua all'espressività. Il pensiero non cerca più la verità, si adegua al metodo. La religione è in netto declino in Europa, basta guardare le statistiche. Ma stiamo entrando in un secolo mistico, sono centinaia i segni che lo preannunciano. Questo nuovo paradigma potrebbe riflettersi nella parola coscienza, o forse silenzio, o essere. E ognuno deve — dobbiamo — collaborare a questa nuova configurazione a partire da ciò che è.


Come ha vissuto questo periodo di pandemia e isolamento?


Sono una persona empatica. La gente crede che, dato che scrivo sul silenzio, io sia una specie di eremita, o che viva rinchiuso nel mio castello, come Montaigne. Niente di tutto questo. Sono come chiunque altro, ho bisogno del contatto umano, soffro quando vedo gli altri soffrire, mi manca poter abbracciare ed essere abbracciato, i telegiornali mi deprimono... La mia vita è cambiata perché passo molte più ore in casa: scrivo e medito di più, non ricevo più di persona chi vuole parlare con me, ma li frequento via skype o via zoom. Questa incertezza generalizzata - anche questo è vero - ha anche rinsaldato la mia speranza.


I mesi di reclusione avevano qualcosa di quaresima forzata. Vivi quel periodo (di elemosina, digiuno e preghiera) in modo speciale o diciamo che la Quaresima si vive tutto l'anno?


In Quaresima vivo il deserto della vita in modo particolarmente intenso, come la maggior parte dei cristiani. Tendo ad aumentare il tempo che dedico al silenzio interno e alla cosiddetta liturgia delle ore. Faccio più elemosine, sotto forma di tempo e di denaro. E continuo a digiunare il lunedì, in omaggio a Gandhi, che digiunava quel giorno. Questa quarantena quaresimale mi aiuta ogni anno a vivere molto meglio la Pasqua, o, in altre parole, solo se entri nel deserto scopri la meraviglia delle oasi.


Parola, visione e guarigione. Biografía de la luz può essere intesa come una sublimazione di questi tre doni?


Non so che dire. Vedere (o ascoltare), dire (o scrivere) e fare (aiutare) sono per me i compiti di ogni persona. Innanzitutto, vedere cosa c'è, riceverlo, accoglierlo, lasciarsi toccare da ciò che ci viene presentato. La cosa principale è sempre la contemplazione. Quindi comprenderlo, verbalizzarlo, farlo nostro, poiché, oltre agli occhi e alle orecchie, siamo la mente, che ha bisogno di elaborare ciò che viene offerto. Infine, l'azione, che deve essere sempre preceduta dalla contemplazione e dalla riflessione, affinché non sia una mera reazione. Per questo dico che questi sono i tre compiti essenziali. Nei miei libri cerco di mostrare, con tutta la chiarezza di cui sono capace, una via per raggiungere la parte migliore di noi stessi.


Intervista di Eduardo Laporte per Coverture



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