
di Andrea Acquarone
M’è spiaciuto molto non aver potuto presenziare alla riunione di sabato scorso, dove però sono andati amici che mi hanno raccontato, e l’esperienza di analoghe circostanze m’ha permesso di immaginare, così da concepire il rammarico. Perché sono situazioni molto coccole, quando ci si ritrova tutti, e per un momento pare che si possa fare qualcosa, magari non di rivoluzionario, ma almeno di buon senso, rispettando le sensibilità di ognuno, e la vittoria allora appare vicina e meritata. È molto bello sentirsi parte di quella cosa in giorni così, dove tutti interpretano il loro ruolo e parlano bene: giusta e intelligente l'introduzione del Segretario D’Angelo, chiarissimo Gianni Pastorino, Dello Strologo ispirante, e così via, tra molti volti noti e qualcuno anche nuovo. Allora ci si prende figurativamente per mano e ci si dice “dai!”. E così è successo anche sabato, con l’appuntamento per “sigillare la coalizione su 10 punti” a inizio settimana, e poi “via” si parte.
Dispiace doppiamente, oltre al non essere stato presente, aver dovuto comunicare una certa perplessità su questo modo di procedere, però qui è più facile perché si tratta di un equivoco. S’è parlato a un certo punto, per necessaria semplificazione giornalistica, di un “gruppo Acquarone”, che come tale viene invitato alle riunioni, e a cui si offre al pari dei presenti di aderire alla coalizione. Ma un “gruppo Acquarone” inteso come soggetto politico che firma o non firma alleanze, e robe simili, andrebbe detto, non esiste. È da apprezzare la risposta data del Segretario D’Angelo al mio invito in autunno ad aprire i processi decisionali ad elementi della società civile, e così noi, Biolé e qualcun altro abbiamo fatto alcuni colloqui e spiegato cosa pensiamo. Diverso è il processo di formazione di una coalizione, per cui sono le forze politiche che si mettono o non si mettono insieme: in questo caso, “i civici” poco c’entrano.
Ciò non toglie che resti una perplessità di fondo su come sia stata gestita questa dinamica, che sta per arrivare a conclusione. Se c’è un ruolo che persone al di fuori dei partiti possono svolgere se scelgono di prendere parte al discorso è suggerire, mostrare modalità diverse di azione, e dare un apporto sui temi e la maniera di comunicarli; oppure mettersi a disposizione come possibile candidato, come ha fatto Filippo Biolé. Noi – qui ha senso dire “noi”, perché non sono stato solo in questi frangenti – abbiamo svolto il nostro ruolo nel senso detto sopra: poco dopo l’ennesima sconfitta, prevedendo le difficoltà che puntualmente sono arrivate, proponemmo le primarie, e poi indicemmo un’assemblea pubblica in cui il messaggio venne ribadito. Abbiamo suggerito una comunicazione che parlasse all’emozione e si esprimesse secondo la grammatica politica contemporanea, e in ultimo impostato un lavoro sui temi, con un libro corale che verrà presentato il 26 febbraio da Feltrinelli, e che sarà in ogni caso un’occasione di approfondimento, per ripensare la città. Che non guasta.
Di tutto ciò, al di là del gentile invito a colloqui e riunioni, è fattuale che non si sia voluto o saputo o potuto cogliere nulla; anzi, s’è fatto il contrario: siamo quasi a febbraio e non sappiamo chi sarà la/il candidata/o, che invece andava deciso subito (con un processo partecipato che avrebbe permesso di parlare anche di temi e prospettive, insomma della città); si va verso una coalizione stretta su 10 punti sicuramente condivisibilissimi, ovviamente vaghi o bandieristicamente concreti (no a quello!, si a quello!), per poi buttarsi sul candidato d’emergenza. Diametralmente l’opposto di quanto avevamo suggerito.
Nel frattempo, l’elettorato non ha ricevuto una parola su che Genova si immagina, e sul come realizzarla. Sorprende che qualche giorno fa il Segretario del PD mi dicesse: “sai, da fuori forse si può pensare che siamo in ritardo, ma in effetti, prima abbiamo dovuto chiarire la posizione di Orlando, poi iniziare a definire il perimetro, in realtà non s’è perso tempo”. Io lo capisco, lo seguo pure; ma io non sono “da fuori”. E a me, e anche a lui, e a “noi” tutti dovrebbe interessare non cosa succede dentro questo nostro piccolo mondo, ma cosa si percepisce “da fuori”. Per cui va detto, e ce lo diciamo sempre però poi continuiamo, che fare politica in questo modo, tutto rivolto all’interno, nel dialogo tra forze, soggetti, comunicazione coi giornali, uscite in televisione, è una modalità oscena e folle. Quindi poi, hai voglia a fare le belle riunioni dove sembra che tutto abbia più o meno senso, e che possiamo vincere e che ci diciamo “dai!”. C’è una distanza per ora insanabile tra questo corpo sociale metafisico (il centrosinistra genovese) e chi dovrebbe votarlo. Anche quello, se ci aveste invitato forse meno ma ascoltato di più, potevamo iniziare ad aggiustarlo.
Adesso invece ciò che succederà, dopo aver “chiuso sui dieci punti”, è che nell’impossibilità di trovare un candidato gradito ai due estremi del tavolo, con poco tempo a disposizione per costruire una notorietà, con grande fatica e “senza imporre nulla”, si arriverà alla designazione di un dirigente PD conosciuto e di lungo corso, che probabilmente perderà. In tutto ciò il rammarico mio, e di altri che con me hanno provato a influire su questa dinamica, non è tanto il temere di trovarci a commentare tra un centinaio di giorni “ve l’avevamo detto”, ma non essere riusciti a far sì che le cose andassero bene, e si potesse vincere: con uno stile nuovo, una modalità partecipativa, un’idea di città evocativa e strutturata, che sapesse emozionare.
Certamente, al di là del sottoscrivere o meno patti di coalizione che non spetta a noi siglare, continueremo a dare il nostro contributo di idee, suggestioni, eccetera, ma al tempo stesso ci ripromettiamo che sia davvero l’ultima volta che il centrosinistra genovese se la gioca così male. Il “tocca a noi!”, che ha dato il titolo al nostro libro corale, deve così diventare un imperativo esistenziale. A differenza delle altre sconfitte, a maggio si potrà dire che c’era chi aveva suggerito un cammino differente, e sulla base di quello, si costruirà: ovviamente non contro, ma a prescindere. Questa era un po’ un’ultima occasione per costruire “insieme”. A malincuore va riconosciuto che non è stata colta. Peccato solo perché “da fuori” avrebbero apprezzato, e probabilmente ci avrebbero premiato.

Andrea Acquarone è nato a Genova nel 1983. Laureato in Economia e Commercio, consulente aziendale, giornalista, si occupa da anni di fenomeni economici e sociali. E’ stato direttore di O STAFÎ, rivista progressista, ambientalista, attenta all’arte, alla cultura, all’economia, ai probemi sociali, europeista e regionalista, in lingua ligure.
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