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Lettera aperta al centrosinistra genovese

Immagine del redattore: Redazione TheMeltinPop Redazione TheMeltinPop

Genova
Da Pixabay

di Andrea Acquarone


M’è spiaciuto molto non aver potuto presenziare alla riunione di sabato scorso, dove però sono andati amici che mi hanno raccontato, e l’esperienza di analoghe circostanze m’ha permesso di immaginare, così da concepire il rammarico. Perché sono situazioni molto coccole, quando ci si ritrova tutti, e per un momento pare che si possa fare qualcosa, magari non di rivoluzionario, ma almeno di buon senso, rispettando le sensibilità di ognuno, e la vittoria allora appare vicina e meritata. È molto bello sentirsi parte di quella cosa in giorni così, dove tutti interpretano il loro ruolo e parlano bene: giusta e intelligente l'introduzione del Segretario D’Angelo, chiarissimo Gianni Pastorino, Dello Strologo ispirante, e così via, tra molti volti noti e qualcuno anche nuovo. Allora ci si prende figurativamente per mano e ci si dice “dai!”. E così è successo anche sabato, con l’appuntamento per “sigillare la coalizione su 10 punti” a inizio settimana, e poi “via” si parte.


Dispiace doppiamente, oltre al non essere stato presente, aver dovuto comunicare una certa perplessità su questo modo di procedere, però qui è più facile perché si tratta di un equivoco. S’è parlato a un certo punto, per necessaria semplificazione giornalistica, di un “gruppo Acquarone”, che come tale viene invitato alle riunioni, e a cui si offre al pari dei presenti di aderire alla coalizione. Ma un “gruppo Acquarone” inteso come soggetto politico che firma o non firma alleanze, e robe simili, andrebbe detto, non esiste. È da apprezzare la risposta data del Segretario D’Angelo al mio invito in autunno ad aprire i processi decisionali ad elementi della società civile, e così noi, Biolé e qualcun altro abbiamo fatto alcuni colloqui e spiegato cosa pensiamo. Diverso è il processo di formazione di una coalizione, per cui sono le forze politiche che si mettono o non si mettono insieme: in questo caso, “i civici” poco c’entrano.


Ciò non toglie che resti una perplessità di fondo su come sia stata gestita questa dinamica, che sta per arrivare a conclusione. Se c’è un ruolo che persone al di fuori dei partiti possono svolgere se scelgono di prendere parte al discorso è suggerire, mostrare modalità diverse di azione, e dare un apporto sui temi e la maniera di comunicarli; oppure mettersi a disposizione come possibile candidato, come ha fatto Filippo Biolé.  Noi – qui ha senso dire “noi”, perché non sono stato solo in questi frangenti – abbiamo svolto il nostro ruolo nel senso detto sopra: poco dopo l’ennesima sconfitta, prevedendo le difficoltà che puntualmente sono arrivate, proponemmo le primarie, e poi indicemmo un’assemblea pubblica in cui il messaggio venne ribadito. Abbiamo suggerito una comunicazione che parlasse all’emozione e si esprimesse secondo la grammatica politica contemporanea, e in ultimo impostato un lavoro sui temi, con un libro corale che verrà presentato il 26 febbraio da Feltrinelli, e che sarà in ogni caso un’occasione di approfondimento, per ripensare la città. Che non guasta.


Di tutto ciò, al di là del gentile invito a colloqui e riunioni, è fattuale che non si sia voluto o saputo o potuto cogliere nulla; anzi, s’è fatto il contrario: siamo quasi a febbraio e non sappiamo chi sarà la/il candidata/o, che invece andava deciso subito (con un processo partecipato che avrebbe permesso di parlare anche di temi e prospettive, insomma della città); si va verso una coalizione stretta su 10 punti sicuramente condivisibilissimi, ovviamente vaghi o bandieristicamente concreti (no a quello!, si a quello!), per poi buttarsi sul candidato d’emergenza. Diametralmente l’opposto di quanto avevamo suggerito.


Nel frattempo, l’elettorato non ha ricevuto una parola su che Genova si immagina, e sul come realizzarla. Sorprende che qualche giorno fa il Segretario del PD mi dicesse: “sai, da fuori forse si può pensare che siamo in ritardo, ma in effetti, prima abbiamo dovuto chiarire la posizione di Orlando, poi iniziare a definire il perimetro, in realtà non s’è perso tempo”. Io lo capisco, lo seguo pure; ma io non sono “da fuori”. E a me, e anche a lui, e a “noi” tutti dovrebbe interessare non cosa succede dentro questo nostro piccolo mondo, ma cosa si percepisce “da fuori”. Per cui va detto, e ce lo diciamo sempre però poi continuiamo, che fare politica in questo modo, tutto rivolto all’interno, nel dialogo tra forze, soggetti, comunicazione coi giornali, uscite in televisione, è una modalità oscena e folle. Quindi poi, hai voglia a fare le belle riunioni dove sembra che tutto abbia più o meno senso, e che possiamo vincere e che ci diciamo “dai!”. C’è una distanza per ora insanabile tra questo corpo sociale metafisico (il centrosinistra genovese) e chi dovrebbe votarlo. Anche quello, se ci aveste invitato forse meno ma ascoltato di più, potevamo iniziare ad aggiustarlo.


Adesso invece ciò che succederà, dopo aver “chiuso sui dieci punti”, è che nell’impossibilità di trovare un candidato gradito ai due estremi del tavolo, con poco tempo a disposizione per costruire una notorietà, con grande fatica e “senza imporre nulla”, si arriverà alla designazione di un dirigente PD conosciuto e di lungo corso, che probabilmente perderà. In tutto ciò il rammarico mio, e di altri che con me hanno provato a influire su questa dinamica, non è tanto il temere di trovarci a commentare tra un centinaio di giorni “ve l’avevamo detto”, ma non essere riusciti a far sì che le cose andassero bene, e si potesse vincere: con uno stile nuovo, una modalità partecipativa, un’idea di città evocativa e strutturata, che sapesse emozionare.


Certamente, al di là del sottoscrivere o meno patti di coalizione che non spetta a noi siglare, continueremo a dare il nostro contributo di idee, suggestioni, eccetera, ma al tempo stesso ci ripromettiamo che sia davvero l’ultima volta che il centrosinistra genovese se la gioca così male. Il “tocca a noi!”, che ha dato il titolo al nostro libro corale, deve così diventare un imperativo esistenziale. A differenza delle altre sconfitte, a maggio si potrà dire che c’era chi aveva suggerito un cammino differente, e sulla base di quello, si costruirà: ovviamente non contro, ma a prescindere. Questa era un po’ un’ultima occasione per costruire “insieme”. A malincuore va riconosciuto che non è stata colta. Peccato solo perché “da fuori” avrebbero apprezzato, e probabilmente ci avrebbero premiato. 



 





Andrea Acquarone è nato a Genova nel 1983. Laureato in Economia e Commercio, consulente aziendale, giornalista, si occupa da anni di fenomeni economici e sociali. E’ stato direttore di O STAFÎ, rivista progressista, ambientalista, attenta all’arte, alla cultura, all’economia, ai probemi sociali, europeista e regionalista, in lingua ligure.



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