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"I 69 giorni"di Marco Candida





Autore: Marco Candida Editore: Autori Riuniti Collana: I nasi lunghi Anno edizione: 2021


Per Autori Riuniti è appena uscito "I 69 giorni", l'ultimo romanzo di Marco Candida, scrittore tortonese di cui The Meltin Pop ha già avuto modo di parlare qui.

La storia è ambientata nel periodo del lockdown ma non è la pandemia ad essere al centro della narrazione. Il tempo trascorso forzatamente tra le mura di casa è solo il detonatore che va ad innescare l'intreccio narrativo. Floris, un medico che si è dimesso dal lavoro non appena ha saputo dell'arrivo del virus; Lilia, la moglie, avvocato; Iris, la figlia, trascurata e ignorata, che vive cercando di attirare l'attenzione su di sè. Questi sono i personaggi, che in una sorta di Huis clos alla Sartre, mettono in pratica la famosa frase "L'inferno sono gli altri" e attivano una spirale discendente in cui sembra che l'inferno sia davvero l'unica meta possibile.

La casa diventa quindi prigione, dannazione, ma anche teatro dove i dissidi sopiti o nascosti deflagrano in tutta la loro perversa potenza.


Di seguito ve ne presentiamo un estratto.


I 69 giorni (Autori Riuniti, 2021)


Capitolo 1

Floris lascia – Trinità al Centro Commerciale – Sangue nella vasca

Pare proprio che stasera Floris abbia l’impellenza di dire qualcosa di improcrastinabile a Lilia. Sta tergiversando o forse sta solo attendendo il momento migliore per farlo. Comunque, deve dirglielo. Lo deve fare. Non è facile. Non è facile soprattutto tenere nascosta l’ansia. Mascherare le cose dietro un tono di voce tranquillo e la solita faccia di sempre: quella del in fin dei conti pacioso e gioviale Floris, primario presso il Dipartimento Malattie Infettive all’interno del nosocomio cittadino. È come tenersi un sasso rovente nello stomaco. Anzi, un rospo rovente. Floris si aggira intorno a Lilia con questo peso nello stomaco – un peso mobile. Si chiede se abbia o meno lo sguardo torvo. Di sicuro, deve avere l’aria tormentata. Almeno quando non si sforza di sorriderle. Sì. Deve sputare il rospo. Non sa ancora quando. Ma lo deve fare. Deve dare a sua moglie la notizia di avere deciso di dimettersi dall’ospedale. Da lunedì prossimo Floris Calligaris si cercherà un nuovo lavoro.
Di per sé, la faccenda più difficile di cui rendere conto a Lilia è non tanto come abbia idea di mettere insieme il pranzo con la cena per sé e la sua famiglia nei prossimi anni, e insomma, che accidenti abbia in animo di fare se abbandonerà la professione medica, ma soprattutto perché, per quale motivo sulla verde faccia di questa Terra, un tecnico competente, stimato e riverito come Floris voglia troncare, dall’oggi al domani, la sua carriera.

Presa com’è dai suoi clienti nel suo studio d’azzeccagarbugli, Lilia nemmeno s’è accorta (il 24 novembre 2019) della pandemia nella quale il mondo precipiterà da lì a qualche settimana. Lilia non vive su Marte. Ha i piedi piantati ben saldi per terra. Legge i giornali. Segue i notiziari alla Tv. Consulta le news su Internet. Ma di certo non gioca d’anticipo sulle notizie. Non come fa Floris. In più, anche se legge quotidiani che si danno aria di foglio progressista, Lilia ha un’anima alquanto reazionaria. Ha fiducia nel sistema. Floris, invece, anche se è abile nel nasconderlo, è dominato dall’ipocondria e ha via via sviluppato con il passare degli anni un temperamento allarmista. Grazie anche alla dimestichezza che le lingue, segue con fervore il cicaleccio di un elevato numero di cassandre sulla rete (nel caso specifico si è affidato a Yīngjùn Zhang un infettivologo della provincia di Hubei in Cina per cui Flo nutre quasi una forma di venerazione) delle quali si fida più di qualsiasi altra fonte al mondo. In certi casi, occultare il proprio allarmismo congenito e la propria ipocondria agli occhi altrui è una bazzecola. In altri casi praticamente impossibile.

“Non ce la faccio più, Lilia – ecco che cosa dirà a Lilia per giustificare le sue dimissioni - Questo è tutto. Sono arrivato in fondo al bicchiere. Floris ha chiuso. Non ci riesce più. Sono stanco. Ecco quanto. Mi reggo l’anima coi denti per lo schifo che vedo ogni giorno con i miei occhi. È come se avessi realizzato lo schifo di lavoro che faccio d’un colpo. È dura. Molto dura. Lo capisci, amore? Come se mi fossi svegliato da un lungo sonno. La bolla d’indifferenza è esplosa. Anni e anni di studio e poi la pratica, e la carriera, è come se mi avessero anziché sensibilizzato alla materia, desensibilizzato. La formazione, medito, ha questo obiettivo. Non sensibilizzare, ma rendere dei pezzi di latta. Cuori. Fegati. Budella. Non mi fanno più reazione. Certo, il mucchio di soldi che affastello ogni anno sul conto corrente probabilmente dà una mano. Anche pranzare gratis di qui o avere il palchetto a teatro di là aiuta. Il calore delle persone che mi accolgono. Frequentare i circoli cittadini. Le associazioni più importanti. I trattamenti di favore a te e a Iris – con tutto che tu sei un avvocato. Il fascino del camice. Sì, e va bene… Anche quello. Le conferenze all’estero. Questi aspetti aiutano. Però, sono anche parte del problema. Chi sono, davvero, io? Sono quell’uomo generoso e buono al quale i pazienti si rivolgono per ottenere diagnosi e cure dei loro mali? Quell’uomo che non trae alcuna gioia dalla dipendenza assoluta dei suoi pazienti nei suoi confronti? O sono invece quel bieco opportunista, indifferente a qualsiasi sentimento (…dalle sofferenze altrui, le privazioni, le angosce, fino al senso di dominio assoluto sui pazienti e non solo sui pazienti poiché chiunque può essere un potenziale malato e finire sul lettino del reparto…), perché s’ingozza di vil danaro ogni giorno di più? È per il benessere che sono stato così cieco fino a oggi? Per la villa… Le vacanze al mare negli hotel? La macchina di lusso? Per questo sono stato pronto a recitare la parte dell’uomo buono e generoso? Credo fino in fondo al giuramento d’Ippocrate? Credo ancora nel potere del bastone di Esculapio? Non lo so, Lilia. Proprio non lo so più. So solo di essere saturo dello schifo e dello squallore che vedo in nosocomio ogni giorno. Ho chiuso. Basta. È finita”
Ma queste parole, così vaghe per una persona concreta come sua moglie, avrebbero fatto breccia nel terreno secco della sua comprensione? Se queste parole non fossero bastate, Floris sarebbe andato sullo specifico.
“Vedi, Lilia, quest'ultimo anno ho pianto e urlato, ho pulito gli escrementi di pazienti che ne avevano bisogno, ho tagliato le gambe a una ragazza, ho dovuto dire a una donna che il suo compagno stava morendo, ho detto a un uomo che non gli sarebbe rimasto molto da vivere, ho detto a una madre che suo figlio non ce l'avrebbe fatta. Guardami! Sono magro e scavato come uno scheletro. Guardami! Sono quasi più magro di te. La notte non dormo soffocato dall'ansia. Guardami!"
Queste parole, ascoltate in più e più occasioni da infermiere e infermieri, e riadattate alla bisogna, avrebbero fatto breccia?
Ah, Floris non è in grado dirlo.
Ormai, comunque, la frittata è fatta.
Da domani è ufficialmente disoccupato.
Il pensiero gli incendia ancor più il sasso rovente nello stomaco.
Altro che rende il rospo nello stomaco ancora più insopportabile è l’assoluta spensieratezza di Lilia. Sono in un centro commerciale e sua moglie cammina tra negozi e rivenditori di pizza al trancio con l’aria di una bambina che veda queste cose per la prima volta. In effetti, a pensarci, in un certo senso è così. Il centro commerciale è appena stato inaugurato. Ci sono ancora festoni colorati che si intrecciano tra una campata e l’altra dell’enorme costruzione in blocchi di granulato e travi d’acciaio smaltate per lo più di bianco. Un Centro Commerciale in grande stile. Dotato di enormi corridoi. Vie che si intersecano e formano due piazze. Più gli enormi ingressi. Su una “piazza” al centro c’è un pianoforte a coda nero e scintillante. Un uomo vestito elegantissimo sta suonando un repertorio classico. Le note del pianoforte si possono distinguere nonostante la musichetta delle radio in sottofondo anche a una decina di metri. Nell’altra piazza, invece, oltre a un recinto con giochi per bambini, c’è una fontana molto coreografica, quasi più polimerizzata e colorata del recinto stesso. Lilia ne rimane particolarmente attratta. Rimane lì per minuti e minuti a osservarla, muovendo su e giù i suoi grandi occhi proprio come una bambina. A guardarla, Floris rimane colpito. Il candore di una donna capace, in altre circostanze, di sbranare a puntino il cliente rappresentato dall’avvocato avversario in una contesa legale. Questo capitolo rosa nella giornata di Lilia non gli è certo d’aiuto in quel che le deve dire. Così, restano lì, ad ammirare in silenzio la fontana.

A Floris è capitato solo un’altra volta, se mal non ricorda, di vedere una fontana simile. Ad Atlantic City, nello Stato del New Jersey, negli Stati Uniti. Dopo una passeggiata sulla streep davanti all’oceano atlantico aveva consumato un classico menù hamburger e patatine in una catena di cui non rammenta il nome. In questo fast-food c’erano palme di plastica e una lunga vasca piena d’acqua azzurra come quella delle piscine. Ogni tanto dalla piscina spuntava un enorme coccodrillo di gomma. Rammenta bene come in quel locale mentre mangiava si mettesse a piovere con rumori di bufera e tutto oppure si abbassassero le luci e si illuminasse una serie di lampadine a significare cielo stellato. Alternanza giorno e notte. Senza dubbio un’esperienza singolare. Non pensava gli sarebbe più tornata in mente così viva nella memoria.
La fontana che ha ora davanti è simile a quello scenario. Una vasca di forma oblunga si distende per una decina di metri circa ed è larga tre almeno. La profondità arriverà, a occhio, a un metro, forse meno. Il fondo è azzurrino, l’effetto è tale e quale a quello prodotto dalle piscine. Sulla superficie dell’acqua galleggiano paperelle. Floris riconosce anche stelle dorate e foglioline argentate. C’è anche un coccodrillo di gomma con grandi occhi bianchi sporgenti? No. Non c’è. In compenso, per tutta la lunghezza della vasca c’è un pannello colorato a mo’ di sfondo. Disegnati sopra con colori molto accesi, con una grafica da cartone animato, ci sono alberi tropicali, con sontuosi frutti appesi ai rami, qualche pappagallo in primo piano, il muso sorridente di un gorilla sul lato del paesaggio, colline verdi, cielo azzurro, un paio di ghirigori bianchi a significare nuvole, e animali da zoo assortiti: un elefante, una giraffa, un rinoceronte, e sul lato opposto rispetto al muso del gorilla quello di un orso. Tutti caratterizzati da sguardi sorridenti su visi dalla fisionomia simpatica. Molto scenografico. Assieme a loro due sono lì fermi dalla fontana, com’è ovvio, dei bambini. Osservano l’acqua. Qualcuno allunga una mano per pucciarla nella vasca.

Lilia sta osservando rapita la fontana. Ha gli occhi grandi e luccicanti. Floris si domanda quali fantasticherie di bimba le stiano passando nella testa. Anche se può quasi leggergliele in quegli occhi spalancati e lucenti. Nulla fa presagire le parole confuse che sua moglie pronuncia seguitando a guardare i colori accesi della fontana.
“Pensi mai che la Trinità potrebbe essere in conflitto?”
“Co… Come, Lilia?”
Floris le lancia un’occhiata incredule.
“Dico, che Padre, Figlio e Spirito Santo siano in disaccordo tra di loro. Entrino in conflitto” fa Lilia senza staccare gli occhi dalla fontana.
“Cosa ti salta in mente, amore? Perché ti viene in mente una cosa simile?”
Lilia distoglie lo sguardo come riavendosi dall’incanto. Assume un’aria molto più sbarazzina. Solleva un angolo della bocca e stringe un occhio: un’espressione che a Floris risulta assai familiare. “Beh, questo spiegherebbe molte storture che ci sono oggi nel mondo. Non credi?”
Poi senza lasciarlo replicare, ma troncando quel dialogo sul nascere Lilia dice: “Andiamo?”
Più tardi, arrivano alla loro auto sistemata nel parcheggio del centro commerciale spingendo un carrello pieno di sacchetti della spesa. Di solito, non fanno la spesa nei supermercati. Stavolta, però, già che c’erano, hanno fatto uno strappo alla regola. Si sono approvvigionati per una settimana intera – anzi, per due, visto che Lilia e Iris mangiano come canarini. Floris preme il pulsante sulle chiavi dell’auto e sblocca la chiusura automatica delle portiere e del bagagliaio. L’aria è frizzante. Il frastuono delle musiche del centro commerciale ora si è attutito, ma si mischia lo stesso al rombo dei motori delle auto in partenza e in arrivo all’interno dell’area riservata al parcheggio. Lilia si affretta ad entrare in macchina, non vuole rischiare di prendersi un raffreddore. Floris apre il bagagliaio e vi ripone all’interno i sacchi della spesa con i loghi molto vistosi del centro commerciale stampati sopra. Mentre li aggiusta, si accorge che da un angolo spunta un cappuccio a punta da dentro una scatola di cartone. Il cappuccio ha colore arancione. Tira la scatola verso di sé e si rende conto che dentro c’è un nano da giardino. Qualcuno in famiglia deve averne acquistato un altro. Iris, probabilmente. Hanno il giardino pieno di questi signori. L’ultima volta che li ha contati ce n’erano diciannove. Diciannove nani da giardino. Che bizzarria… Floris rimette il cartone a suo posto e finisce di scaricare i sacchi della spesa. Chiude il bagagliaio, posteggia il carrello della spesa vuoto in una rastrelliera a un tiro di sasso, senza dimenticare di ritirare l’euro dalla chiavetta dopo averlo riagganciato agli altri carelli e sale in macchina.

È questo il momento giusto per dirlo a Lilia?
In macchina?
E se la prendesse male e cominciasse a mettersi a gridare? Magari a dargli qualche patta. Floris si figura perdere il controllo della corolla del volante. I copertoni fischiare sull’asfalto. Finire fuori strada. Magari, un’esplosione del serbatoio. No. Meglio non rischiare. Meglio aspettare. E poi… a parte le cose che già ha in animo di dirle, con quale coraggio potrebbe sostenere, come ulteriore tesi, di volersi occupare con più volontà di Iris? Quella ragazza, ormai, è un’ombra nelle loro vite. Lo è sempre stata, ma lo è ancora di più oggi a diciotto anni. Tra loro parlano pochissimo della figlia. Evitano l’argomento con imbarazzo. Quando lo fanno, si mettono a criticarla. Passano il tempo a bagolare di lei. Non ci possono fare molto. Le cose stanno così e basta. Chiamiamola famiglia disfunzionale, anche se questa disfunzione si è sempre convogliata, in fin dei conti, tutta addosso a Iris. Hanno cercato, in principio, di plasmarla. Solo che Lilia e Floris sono stati presto costretti a prendere atto di quanto sia difficile il mestiere di genitore. Tra loro tutto fila liscio. Un tempo meglio di adesso, sì. Ma la loro vita di coppia è ancora accettabile. Riescono persino a fare l’amore ogni tanto. Non c’è più molta amorevolezza, ma sono ancora insieme, no? Non basta? Sì, è accettabile. Se Lilia e Floris dicono bianco, Iris dice nero. Se dicono nero, Iris dice bianco. Se sullo stesso punto, Floris e Lilia cambiano idea trasformando un no in un sì, Iris cambia idea in modo bruciante trasformando l’entusiasmo iniziale in un rifiuto. Molto, molto complicata, la questione. Così, piano piano, i due si sono stancati di lei – più o meno intorno ai tredici anni. Ed ecco com’è nata Iris l’Ombra. Taciturna. Pressoché invisibile. Priva di calore umano. Aspra nei brevi scambi di parole.
Proprio un bijou di figlia.

Floris s’immette sulla strada statale e guida verso casa tra lampioni accesi e faretti delle automobili che sfilano in senso contrario. Hanno le gambe indolenzite per il lungo pomeriggio trascorso insieme prima a passeggiare dopo pranzo e poi nel Centro Commerciale, dove, tra una cosa e l’altra, sono rimasti la bellezza di tre ore. Perciò, sono in silenzio, ciascuno assorto nei propri pensieri. L’uomo non sa nemmeno come fare per tirare fuori, così, ex abrupto, il Problema Iris per poi arrivare alla Bega Licenziamento. Mentre si lambicca il cervello, improvvisamente, gli viene un’idea. Il nano da giardino.
“Nel bagagliaio ho visto un altro di quei nani da giardino” butta lì.
“Ah. Sì” replica Lilia con il tono un po’ svogliato.
Molto male. La sua signora non sembra intenzionata a perdersi in ameni conversari.
“Un’altra delle bizzarrie di Iris” dice lui con il tono più invitante possibile nei confronti della moglie. L’invito sottinteso dal tono è: “Avanti. Prendi bene la mira e scaricale addosso l’intero caricatore”
“Mm mm. Quella ragazza non pensa al suo futuro. Le piace il fantasy, le piace…”
Ecco. Ecco.
“Si fa i tatuaggi di fate e folletti… Vive in un mondo suo…”
Sì. Sì.
“…Persa… Persa nel… Persa nelle… Oh, ma che importa. Di questo abbiamo già discusso tante volte”
Persa! Perfetto! Parola perfetta.
“Ah, ma, Lilia, io la recupero. Io non le permetterò di rovinarsi la vita facendo, che ne so?, la cosplay o la cantante da piano bar. Perché quella è lì che va a parare, se va avanti così. Lì. Forse non sembra, ma io sono così… così affranto… per lei. Vedo il suo destino tra qualche anno. In più adesso comincerà l’Università. Così, io… voglio starle più vicino”
“Ma se non sai nemmeno che esiste! Ho sempre dovuto occuparmi io di lei! Sciropparmela”
“Tu? Ah, non dire così, perché mi mortifichi. Sai che non è vero…”
“Non è vero? Ma se non è mai esistita per te… Non la senti nemmeno quando ti fa una domanda. Non comunicate”

Ecco. La miccia è accesa. Adesso la strada è spianata. Una bella discussione al termine della quale le dirà di aver mollato il lavoro. Termine perché ovviamente quando salterà fuori che Floris ha detto addio al lavoro, quel diverbio avrà termine e… chi può dire cosa succederà? Dunque, Flo allunga il brodo fino al viale di casa. Scendono dall’auto che ormai sono un fiume in piena di improperi nei confronti della figlia, del suo amorfismo, della sua superficialità, e bla bla bla.
“Ma proprio tu mi vieni a dire queste cose, Floris! Tu che se quella si bucasse in cucina la supereresti come un birillo, apriresti il frigo e ti berresti una birra?”
“Io non bevo birra! Bevo latte! Berrei un bicchiere di latte!”
Floris e Lilia sono dal bagagliaio. Prendono le borse della spesa. Poi, sempre senza smettere di scaricare proiettili sul volto della figlia arrivano davanti alla porta di casa.
“Le chiavi, almeno, le hai?”
“Le ho, le ho”
Floris infila le chiavi nella toppa.
“Inutile suonare. Tanto quella non verrebbe nemmeno ad aprire. Quel culo pesante…!”
“Figurati se non ci ha sentiti arrivare…”
“Avrà alle orecchie le cuffie con la musica. Ci giurerei”
“E la figura che ci ha fatto fare con il Preside…”
Floris apre la porta.
“Scommetto che è in bagno. È sempre in bagno, quando arriviamo noi. E io devo pisciare”

Lasciano i sacchetti della spesa in entrata e si dirigono entrambi in bagno. Salgono al piano superiore ed entrano nella loro stanza matrimoniale da dove si accede a uno dei due bagni della casa – l’altro è al pianterreno, ma è sempre mezzo guasto. Prima, però, Lilia (più per abitudine che per altro) spalanca la porta della cameretta della figlia e come sempre arriccia il naso, aggrotta la fronte e dice: “Che odore! E… che disordine!”. In effetti, nella stanza si mescolano vari effluvi di odore di ascelle non lavate, pipì e anche un odore più metallico, magari proveniente da qualche tampax buttato chissà dove, mezzo insanguinato. Quanto al disordine… è quasi epico. C’è un set di unghie finte abbandonato sul tappeto dove sono raffigurate Angela e Elsa di Frozen. Sul comodino accanto al letto c’è di tutto. Un paio di bicchieri ancora mezzi pieni di due succhi di frutta di gusti diversi. Un piattone di plastica con sopra un Club Sandwich gigantesco infilzato da uno stuzzichino che alla sommità presenta la bandiera dell’UK. Un paio di wurstel marroni pendono disgustosamente di qua e di là dalle fette di pan carré come le antenne di un mostruoso crostaceo fuggito da un laboratorio genetico. Ci sono, com’è facile aspettarsi, briciole del mostro un po’ ovunque sul letto. Sul letto c’è pure un libro mezzo aperto, dalla copertina smangiata e qualche pagina scucita. Questo è curioso perché di solito Iris, i suoi fantasy, li costudisce in un e-book dall’involucro fucsia come il portacipria gigante della Barbie su una mensola che ha dall’età di cinque anni, se non quattro. Lilia getta uno sguardo sul tascabile. Magari, essendo un libro di carta, non è il consueto fantasy. Magari qualcosa di più serio. Legge: Carrie – Lo sguardo di Satana. Stephen King. La donna alza gli occhi al cielo prima di richiudere la porta con un colpo. Sente lo stimolo alla vescica acuirsi. Deve subito andare in bagno o se la farà nelle mutandine – e anche se messo così suona sexy, ormai deve ammettere che alla sua età non lo è più come una volta. Entra nella sua stanza da letto seguita da Floris. La luce del bagno è accesa. Iris è là dentro.

“Ecco, visto?” fa Lilia.
“Ah sì, sì. Ma è ben per questo che lascio il lavoro…” dice lui.
Sua moglie apre la porta del bagno.
Non è chiusa a chiave.
Quando entra nell’istante in cui alle orecchie le arriva la notizia che Floris progetta di licenziarsi e il naso le si riempie di androstenone e scatolo (odore di verro, le arriva da un angolo del cervello dove risiede la memoria di una pratica legale legata a macellazione di carne suina) assieme al più consueto profumo di un’essenza di Fave di Tonka, le quali si utilizzano di solito in pasticceria, ma che Lilia ha trovato all’interno di un bagnoschiuma (“Fragranze di Fave di Tonka” recita una scritta sul bagnoschiuma) e le è parso originale utilizzarle per profumare la toilette, gli occhi registrano il sangue nella vasca da bagno alla sua destra e i capelli di Iris a galleggiare nell’acqua tinta di rosso come una specie di enorme alga preistorica – e tra tutti i pensieri a Lilia le si attiva il loop: “Non posso ancora crederci che questa mentecatta si sia fatta i capelli verdi come l’erba del nostro giardino. Non posso ancora crederci che questa mentecatta si sia fatta i capelli verdi come l’erba del nostro giardino. Non posso ancora crederci che questa mentecatt…”.
“FLORIS!” urla Lilia, voltando la testa di scatto verso di lui.

Non riesce a fare di meglio, dato che è l’impulso di fare pipì a governarle le gambe. Non riesce ad arrestarsi. Ciò che ha in mezzo alle gambe (ciò che le rimane, vorrebbe arrendersi a pensare, magari con un sogghigno di superstite malizia) è magnetizzato dal gabinetto e nulla sulla verde faccia di questa terra (nemmeno una pozza di sangue nella vasca da bagno con tua figlia annegata dentro? Nemmeno la notizia della decisione del licenziamento di tuo marito spiattellata fresca fresca or ora?) potrebbe opporsi a questo genere di elettromagnetismo. Però, Lilia, aria nei polmoni ne ha. Pertanto, senza frenare la sua falcata verso il gabinetto, tirandosi giù pantaloni e mutandine, e lasciandosi pesantemente andare sulla tavoletta abbassata (uno dei vantaggi di avere una figlia femmina; la trova abbassata il 70% delle volte, anzi l’85%, visto che Floris deve fronteggiare due esseri strillanti ogni volta che si dimentica di abbassarla dopo essersi svuotato la cannuccia), si sgola dicendo…

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