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La sindrome di Anna Karenina: quando l’amore fa ammalare l’anima



di Alessia Spinola


“Non riesco più a vivere senza di te”, “Sei tutto ciò che ho”, “Senza di te non sono niente”: queste sono solo alcune delle frasi che le vittime di un amore tossico si ritrovano a dire. I libri, la maggior parte delle volte, descrivono l’amore come un sentimento che pervade l’intero organismo, che fa battere forte il cuore e che riempie di luce il mondo di chi lo vive sulla propria pelle. Eppure, purtroppo, non sempre è così. Anna Karenina, il più celebre romanzo di Lev Nikolaevic Tolstoj, mostra il rovescio della medaglia di questo sentimento sempre fortemente idealizzato. Tra le righe del libro, infatti, si può vedere come l’amore, con la stessa rapidità con cui travolge l’anima, può anche distruggerla.


Nonostante sia un romanzo del 1877, Anna Karenina ha ancora tanto da insegnare e continua ad attirare l’attenzione di un gran numero di persone. Questo sottolinea come il libro sia una pietra miliare non solo della letteratura russa, ma mondiale. L’omonima protagonista dell’opera rappresenta uno dei più tragici personaggi letterari e diventa simbolo di quell’amore che intossica chiunque ci si imbatta, al punto da parlare, anche in psicologia, di “sindrome di Anna Karenina”.


Il tema principale di questo componimento è quello dell’attrazione travolgente e irrefrenabile che scoppia tra Anna Arkad’evna Karenina, bellissima donna sposata con Aleksej Aleksandrovic Karenin, e Aleksej Kirillovic Vronskij. Sono tutti membri dell’alta società, perciò non è difficile immaginare lo scandalo che scaturisce quando si viene a sapere della loro relazione clandestina: da quel momento tutto volge al declino. Questa non è una storia da favola, vi avverto, questa è la storia di una persona che, spinta dalla sincerità dei suoi sentimenti, investe tutta sé stessa e decide di rinunciare a tutto, persino a suo figlio, per amore di Vronskij, mentre quest’ultimo, una volta ottenuto ciò che voleva, cade nella noia, lasciando così Anna sola con i suoi pensieri e con la vergogna che la società ipocrita le affibbia perché - allora come oggi - la colpa delle scelte è sempre addossata alla donna e mai all’uomo.

La sorte finale di Anna, che tutti conosciamo, è la conseguenza più tragica di ciò che un amore non dovrebbe mai provocare e che nessuno dovrebbe mai scegliere: il suicidio.


«Questo appagamento gli aveva mostrato l’eterno errore che commettono gli uomini che si figurano la felicità nell’appagamento di un desiderio».
Anna Karenina, Tolstoj

Ciò che Tolstoj ci racconta nel suo romanzo è il tipico ritratto di un amore tossico, insano, capace di creare nella vittima una vera e propria dipendenza verso il partner.

In queste situazioni, quasi sempre il carnefice è un narcisista che si sente appagato vedendo l’altra persona pendere dalle sue labbra e, una volta soddisfatto il suo capriccio, non si fa scrupoli a lasciarla come se nulla fosse, senza preoccuparsi minimamente delle conseguenze devastanti che provocherà.


Quando ci si ritrova in questa nube tossica è molto difficile uscirne, quasi impossibile, perché nonostante si sia consapevoli che ciò che si sta vivendo non fa altro che nuocere alla salute; parallelamente si pensa che lasciare colui che ci sta provocando tutto quel dolore sia ancora più doloroso e non si riesce a immaginare una vita in cui lui non sia presente.

Non c’è più felicità, è come vivere in una bolla estraniata dal mondo circostante, in cui tutto quello che si prova è paura: paura di rimanere soli, abbandonati. L’unica fonte di gioia proviene da quelle piccole e sempre più sporadiche attenzioni che l’altra persona concede; si arriva così al punto di vivere solo per quegli istanti e si trova la forza di andare avanti solo nel ricordo di quelli passati.


Arriva un momento, però, in cui tutta questa tossicità finisce. Perché, prima o poi, finisce. È proprio qui che arriva la parte più difficile: se prima si viveva nella speranza che le cose sarebbero migliorate e che ci sarebbe stato un lieto fine, adesso la persona che è stata vittima di tanto dolore si ritrova a doverne affrontare uno ancora più grande, ovvero quello di ricevere dritta in faccia la verità e di dover imparare nuovamente a vivere da sola e a riprendere a camminare con le proprie gambe.

In questo momento è un po' come si nascesse una seconda volta. È un processo faticoso e che forse non si supererà mai del tutto: le cicatrici che lascia sono indelebili e sempre pronte a riaffiorare nei momenti di fragilità. Tutto questo può portare la persona che sta finalmente guarendo a costruirsi una corazza di titanio intorno al cuore perché la paura di rivivere una seconda volta tutto ciò è troppa, il fisico non sopporterebbe una ricaduta, e inoltre fa sviluppare una grande forma di sfiducia preventiva verso il prossimo. Quindi sì, si può guarire, ma certe ferite si porteranno dentro per sempre.


La guarigione, però, quando avviene, è qualcosa di meraviglioso. Finalmente si torna di nuovo a vedere il mondo a colori e non più in bianco e nero, si torna a ridere, a provare una gioia incontenibile anche per le più piccole cose. Si capisce che aver vissuto tutto ciò, ci ha dato la consapevolezza del fatto che dobbiamo trovare la felicità dentro di noi, dobbiamo essere noi il nostro sole, che, quando gli altri se ne vanno, rimane.

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