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La morte di mio fratello Abele di Gregor von Rezzori


di Goffredo Feretto


Sono convinto che se facessimo un sondaggio e domandassimo ai lettori di molti libri ogni anno – i cosiddetti lettori forti – perché leggono, la maggior parte di loro risponderebbero “perché leggere è un piacere”.

Mi sono chiesto – un po' oziosamente, lo confesso – se per tutti il piacere sia lo stesso.

Sì, perché recentemente ho scoperto che possono esserci diversi tipi di piacere.

In me, per esempio, ho ritrovato il piacere del “corpo a corpo” con il testo e, di conseguenza, con l'autore.

Mi è capitato proprio nello scorso mese di novembre, quando ho cominciato la lettura di “La morte di mio fratello Abele”, scritto da Gregor von Rezzori.


Si tratta di un testo molto ostico, anche per un “lettore professionista” come io mi ritengo, avendo fatto nella vita tutti i mestieri legati al libro, dal libraio al direttore editoriale, all'editore.

Dopo una cinquantina di pagine – in tutto sono più di seicento nell'edizione Studio Tesi in mio possesso – mi sono domandato chi me lo faceva fare di continuare in una lettura che mi richiedeva continua concentrazione per non perdere il filo.


Si tratta, infatti, di un lunghissimo monologo, a volte travestito da dialogo con un amico (appunto il “fratello Abele”), che abbraccia la storia europea dalla fine della prima guerra mondiale fino al 1968, con lo sguardo rivolto soprattutto ai cambiamenti sociali e culturali. Il tutto inserito nelle vicissitudini del protagonista-narratore, alle prese con la propria incapacità/impossibilità di scrivere il libro che ci si attendeva da lui, un romanzo che avrebbe dovuto esprimere lo spirito del secolo, lo spirito della sua generazione, quella che aveva assistito alla definitiva americanizzazione dell'Europa. Scrive Andrea Landolfi recensendo il libro di Rezzori “Tra presente e passato, tra Parigi del 1968 e Vienna del 1938, passando per Amburgo, Norimberga, la Bessarabia, la Costa Azzurra, il romanzo narra, e insieme mette in scena, l'impossibilità 'moderna' di narrare. Ma lo fa, appunto, narrando.”


Perché non ho seguito l'impulso a cessare la lettura?

Proprio perché ho scoperto il piacere (qualcuno lo definirebbe masochistico, ma non è così) di misurarmi corpo a corpo con una materia incandescente e caotica, ma dotata di un fascino sorprendente, un fascino che si rivela a poco a poco, pagina dopo pagina, e che ti lascia spesso sgomento.

Ma chi era l'autore?

Copio da Internet: “Gregor von Rezzori è stato uno scrittore, attore e artista austriaco. Parlava correntemente tedesco, italiano, romeno, polacco, russo, yiddish, francese e inglese.” Era nato in Ucraina nel 1914 ed è morto in Italia nel 1998. Lascio a chi sarà interessato l'approfondimento della sua biografia. Ciò che voglio aggiungere è che era dotato di una immensa cultura: nel suo romanzo è evidente, tanto che certe sue citazioni ti fanno sentire un asino finito.

Il mio giudizio conclusivo?

Eccolo: “La morte di mio fratello Abele” è un capolavoro scritto da un genio.

Forse esagero, ma chi vorrà affrontare l'agone della lettura potrà sempre smentirmi.

Ricordo, però – per nascondermi dietro il nome di un grande - che sono in buona compagnia, giacché il premio nobel Elie Wiesel definì questo libro uno dei grandi romanzi del ventesimo secolo.


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