Editore: Morellini
Collana: Varianti
Anno edizione: 2021
Pagine: 224
Agata è una editor quarantenne che vive a Milano, nel quartiere cinese, dove le insegne dei negozi sono forme mute, ideogrammi impossibili da leggere e decifrare. Anche lei è piena di mistero e di indicibile, l’unica cosa chiara e manifesta è il vuoto che la abita e la ossessiona, un vuoto intollerabile da riempire a ogni costo, prima con il cibo, poi con Samuele, il classico uomo sfuggente con il quale si è creata una relazione di dipendenza e privazione. Agata ripercorre con lui la vicenda di un abbandono antico, vissuto quando la madre se ne andò di casa e scomparve, lasciandola sola con il padre e con un’irrimediabile mancanza. Sarà proprio a lei, a questa madre di cui nessuno conosce la fine, che la protagonista deciderà di dedicare una lunga lettera-romanzo nell’intento di ricostruirne la storia, di ritrovarla almeno nelle parole scritte, viva tra le pagine. S’inventa una madre, Agata, per riscoprirsi prima figlia e poi, finalmente, donna. (Dalla quarta di copertina)
I passi di mia madre è un romanzo intenso e coinvolgente.
La scrittura di Elena Mearini ti cattura fin dalle prime pagine, riesce a imbrigliarti nelle parole in un gioco ipnotico nel quale sprofondi e ti lasci trasportare nella storia alla ricerca di una verità difficile da accettare. Provi tenerezza per questa donna che vive a metà e che decide di inventarsi una madre e inizia a (ri)scrivere la storia della sua vita o meglio della sua scomparsa. La storia nella storia. Un’ossessione, la ricerca e la domanda che martella continuamente nella mente della protagonista.
Perché? E dove è?
"Poi la dimentico, mi ripetevo, la sua faccia se ne andrà via come quelle scritte sulle magliette che la nonna mette in candeggina quando sono troppo sporche, succederà così […] no, non funziona così, i giorni non sono candeggina e il tempo non è una lavatrice rotta."
Da lì una doppia narrazione: una rivolta alla madre e l’altra rivolta a sé stessa e alla sua ricerca del vuoto. Per ripercorrere la stessa storia di abbandono, in cerca dell’amore e dell’affetto dove non può esserci. Una donna si specchia nell’altra. Un dolore necessario per liberarsi dai fantasmi di un passato ingombrante che ritorna sempre.
Una scrittura che a tratti si fa fisica. Il corpo che vive e macina nella privazione e nel desiderio. Un desiderio che si consuma velocemente mentre resta impigliato nell’eterna attesa, nel vuoto da colmare, nella fame che si concretizza, nei gesti che si fanno azione e parola.
Di Agata senti la nevrosi, le sue ansie, i piccoli rituali che riescono persino a farti sorridere, come quando combatte con il cellulare nemico/amico al quale affida le speranze di un messaggio o di una chiamata che non arriva. L’attesa tossica, struggersi in quel vuoto costante che si fa concreto e riesci a percepirlo proprio nel corpo grazie alle parole, in un linguaggio in bilico tra l’essenziale e la poesia.
"l cellulare mi sta sempre davanti, appoggiato da qualche parte, a pochi centimetri dagli occhi. Lo afferro come afferro una mano per vedere se qualcuno nel mondo ricambia la stretta. Tira su la testa. Ogni cinque minuti i miei occhi bassi cercano e non trovano mai il suo nome. Mi nutro di queste puntuali mancanze."
Un vuoto difficile da colmare e che Mearini ti fa sentire molto bene, con grande sapienza, senza però travolgerti, riesce sempre a tenerti sul filo o a trovare una scappatoia con qualche frase ad effetto o citazione.
"Si perdono occasioni impossibili da reinventare, e tu pensi al tempo come a una stoffa insufficiente a rivestire tutti i giorni che vorresti ancora vivere."
Un modo di usare la parola come fosse un atto.
Le pagine sulla vita della madre immaginata in un convento a Santa Giulia sopra Chiavari, in Liguria, sono vive, quasi una sorta di espiazione nelle giornate scandite dai lavori quotidiani, come una preghiera fisica, un atto per arrivare a un’astrazione e a una forma di liberazione o purificazione.
"La fatica infiamma, modifica la consistenza e il colore della carne. A lavorare sodo ci si trasforma, fuori e anche dentro."
I rituali che accompagnano la vita della madre sono i rituali che condannano la stessa Agata che si infligge dure lezioni di attesa, nel vuoto della fame e nella ricerca di una assenza che giustifichi i suoi fallimenti. Mentre l’azione si concretizza nel rassicurante vicino di casa Marco, quello che c’è sempre, la presenza concreta. Un punto fermo dove può essere sé stessa senza finzioni: una fisicità consumata, un colmare la fame di vita, temporaneo ma efficace. Il tatto, mani che si cercano, corpi che si consola no. Un prendersi e lasciarsi perché è difficile essere una persona nuova.
A volte il dolore va vissuto. Bisogna attraversarlo, elaborarlo per una rinascita. Una vita nuova. Senza fuggire.
"A volte restare è il solo viaggio utile."
Elena Mearini vive a Milano ed è autrice e docente di scrittura creativa e poesia. Ha pubblicato una raccolta di poesia per Liberaria editore, Strategie dell’addio, e due per Marco Saya Editore, Per silenzio e voce e Separazioni. Nella narrativa ha esordito con 360 gradi di rabbia per Excelsior 1881, e poi ha pubblicato A testa in giù, Morellini Editore, Bianca da morire, per Cairo Editore, selezionato al Premio Campiello, ed È stato breve il nostro lungo viaggio, Cairo Editore, selezionato per lo Strega nel 2018 e finalista al Premio Scerbanenco. Nel 2019 ha pubblicato per Perrone Editore, Felice all’infinito. Nel 2020 ha curato l’antologia Tra Uomini e Dei per Morellini, ed è presente in diverse antologie di narrativa, tra cui Lettere alla madre (2018) e Lettere al padre (2019), sempre per Morellini, a cura di Anna di Cagno.
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