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Immagine del redattoreAntonella Grandicelli

DALMAR. LA DISFAVOLA DEGLI ELEFANTI. Dell'importanza della memoria storica.



Andare a dire in giro che la propria famiglia è la migliore in assoluto è un modo con cui certa gente si dà importanza. Lo fa per garantirsi d’essere qualcuno migliore di altri senza nessuno sforzo né merito. Mai giudicare un individuo soltanto sulle basi di quello che si dice sulla sua famiglia.


In DALMAR. LA DISFAVOLA DEGLI ELEFANTI (Edizioni Unicopli, 2019) la scrittrice somala Kaha Mohamed Aden ci racconta una favola, anzi una disfavola. Spostando la storia dall’universo umano a quello animale, l’autrice utilizza un modo per veicolare con essenzialità e immediatezza un messaggio che le sta molto a cuore. E lo fa, diciamolo, con assoluta maestria. Sarà che proviene da un mondo in cui il legame con la natura è stato ed è ancora sicuramente molto stretto e vivo e la favola un linguaggio non solo dedicato ai bambini ma anche profondamente legato all'immaginario adulto e sociale.

Aden fa così parlare elefanti, orsi, dugonghi, lumache, api, in un paesaggio di pura fantasia ma sorretto da una costruzione narrativa puntuale e arricchita da una sottile vena di ironia. La storia narra del piccolo elefante Dalmar e del suo pacifico gruppo che vivono in pace tra di loro e con la natura, rispettandola e ascoltandola. La società degli elefanti poggia su di una struttura matriarcale, dove la guida, morale ed effettiva, è affidata alla saggezza della femmina Idman. Un giorno però, per sfuggire all’imminente pericolo di una guerra, gli elefanti sono costretti a lasciare in massa il loro paese d’origine e approdare su di un’isola. Qui trovano due comunità distinte di orsi e api, che si dividono rigidamente il territorio, in un clima di malcelata diffidenza.

Tempo fa gli orsi, dopo aver ripulito la città da chiunque non avesse discendenza orsina, operazione che avevano chiamato “guerra di liberazione”, avevano subito intrapreso un’altra guerra tra di loro. Non si erano prima dati alcun metodo, criterio, per decidere chi, fra loro, ne sarebbe stato alla guida e perché. Non avendo organizzato nessun piano di autogoverno erano quindi facilmente scivolati in un conflitto interno che avevano denominato: “la guerra di tutti contro tutti.”

La pace che pare infatti regnare sull’isola nasconde oscuri fatti passati, profondi e mai assorbiti dolori, tristi sussurri sospesi. Vicende sono accadute di cui nessuno parla, che nessuno vuole ricordare, ma che impregnano l'aria di densi, cupi vapori, creature di "pura rabbia". Un atroce oblio, profonda e mai sanata ferita, che troverà finalmente evidenza e cura grazie all’ascolto. La voce del passato, soffocata e privata del suono, ritrova la via per divenire finalmente testimonianza. E lo fa grazie a Idman, saggia guida degli elefanti, che "con la sua apertura d'animo a sentire il dolore altrui, a riconoscerlo, ha trovato la chiave del labirinto."

In ogni angolo, tra una strada e l’altra, viene bloccata da famiglie di animali diversi […]. Tutti vogliono essere ascoltati. […] Altri ancora, afflitti, le sussurrano all’orecchio domande come “annullata la storia condivisa, voi che siete appena arrivate, sapreste tenere distinta la memoria delle vittime da quella dei carnefici?

Attraverso la presenza degli elefanti, simbolo scoperto della memoria, l’autrice si propone dunque di ricucire alla Storia i fatti, troppo presto resi opachi o addirittura cancellati, delle atroci vicende di guerre di clan avvenuti nella Somalia dei primi anni ’90 del secolo scorso, di cui poco, se non nulla, si è parlato. Secondo Aden non possono esistere pace e futuro in un paese che non fa spazio alla memoria, che non concede voce anche a chi ha sofferto la sconfitta e il dolore. E in una memoria che sia condivisa - e soprattutto storica - si potrà porre i semi della convivenza ed essere in grado di vedere l’utilità della differenza.

Orsi, rimembrate i loro nomi perché possiate a lungo vivere in pace. […]

Se volete disimparare quella vostra indole assassina, cercateli.

Se volete lasciarli andare in pace, cercateli.

Disimparare l’indifferenza è possibile.



Kaha Mohamed Aden è nata a Mogadiscio. A vent’anni ha lasciato la sua città natale, in seguito alla dittatura di Siad Barre, di cui suo padre era oppositore e per questo incarcerato. Dal 1987 vive in Italia dove si è laureata in Economia a Pavia e dove ha frequentato il Master in cooperazione allo sviluppo della Scuola universitaria superiore (IUSS). Nel dicembre 2002 è stata insignita del premio San Siro del Comune di Pavia per la sua attività nel campo della mediazione interculturale. Ha scritto I sogni delle extrasignore e le loro padrone in C. Morini, La Serva Serve: le nuove forzate del lavoro domestico, Derive/Approdi 2001; Fra-intendimenti, Nottetempo 2010.


Redazione@themeltingpop.com



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