"A lungo, mi sono coricato di buonora. "
Marcel Proust - Alla ricerca del tempo perduto. Dalla parte di Swann
Così ha inizio una delle opere più importanti della letteratura del Novecento, una di quelle che vengono ritenute fondamentali in una biblioteca personale che si rispetti, "Alla ricerca del tempo perduto" (À la recherche du temps perdu) dello scrittore francese Marcel Proust. Quello che è considerato il romanzo più lungo del mondo e sicuramente uno di quelli che fanno più paura. Tanti di coloro che si considerano lettori forti - e sicuramente lo sono - in tutta onestà spesso confessano di non avere mai trovato il tempo (il coraggio? la voglia?) di portare in fondo l'impresa. Parliamo di 3724 pagine, 1.267.069 parole che attraggono e spaventano insieme.
Questo che sta per chiudersi è l'anno del primo centenario dalla morte di Proust, avvenuta il 18 novembre 1922 all'età di cinquantun anni, e tra le tante, tantissime iniziative volte a ricordarlo e a ricordare la sua opera, siamo rimaste incantate, per l'originalità e la sincerità dell'approccio e per la passione che trasmette, dal podcast Chez Proust, realizzato dalla scrittrice Ilaria Gaspari per Emons Record con il contributo dell'Institut Français Italia. Un viaggio suggestivo - e a tratti toccante - nella complessità dell'universo proustiano, accompagnato dalla musica di Maria Scivoletto.
"Un podcast con cui cercheremo di accomodarci tra le pagine del romanzo più lungo del mondo, "Alla ricerca del tempo perduto". Che proprio per la sua mole, come una montagna particolarmente imponente può sembrare a qualcuno minaccioso. In questo podcast accoglieremo tutti i viandanti chiacchierando con persone che il romanzo-montagna l’hanno scalato e magari si sono proprio innamorati dei crepacci, dei burroni e delle caverne, delle scorciatoie e dei sentieri che hanno scoperto fra un libro e l’altro."
(Dall'introduzione)
Nato con un intento per nulla didascalico e libero da intellettualismi, lo spirito del podcast è quello di avvicinarsi e comprendere meglio l'opera di Proust, seguendo il percorso che in questo secolo quelle pagine hanno compiuto tra i lettori, tra chi lo ha amato e chi ne è rimasto annoiato, chi lo ha abbandonato per poi riprenderlo, chi lo ha affrontato da giovane e chi in età più matura, chi per studio e chi per caso.
Si alternano così le voci di studiosi importanti, che hanno dedicato parte della loro vita allo studio di questo autore (uno su tutti Antoine Compagnon), ma anche lettori comuni, librai, passanti o scrittori a loro volta (Amélie Nothomb, François Morlupi, Nadia Terranova, Matteo Trevisani, Lorenza Foschini e molti altri) . Quattordici puntate nelle quali, con infinita delicatezza e profonda competenza, Ilaria Gaspari si addentra con noi nei meandri dell'opera proustiana, affrontandone l'ascesa - che a tratti è anche discesa, le tematiche, il lungo respiro, la malinconia. E invitando ognuno di noi a scoprire la "nostra" Recherche.
Abbiamo chiesto a Ilaria Gaspari di raccontarci qualcosa su questo viaggio.
“Chez Proust”, un titolo che richiama ad una familiarità, ad un’intimità con uno spazio, un luogo, che in questo caso è un luogo letterario. Com’è nata l’idea del podcast? Com’è stato pensato? Quale spirito e quale obiettivo hanno animato questo progetto?
L’idea del podcast è stata un po’ una follia – come spiegare altrimenti il fatto che, in quest’anno di centenario proustiano, fra tante pubblicazioni, omaggi, mostre e celebrazioni, il mio sia l’unico podcast dedicato a Proust? Una follia nata di slancio. All’inizio del 2021 Paolo Girella e Maria Saracino di Emons mi hanno chiesto di scrivere e registrare una prefazione alla versione audiolibro di Alla ricerca del tempo perduto, in sette volumi: sono stata molto lusingata che avessero pensato proprio a me – avevano letto un mio articolo sulla Normandia di Proust e così avevano ipotizzato che potessi essere adatta – e l’esperienza della registrazione era stata davvero divertente. Quando abbiamo finito di incidere, Paolo mi ha chiesto come vedessi l’ipotesi di un podcast che esplorasse i temi della Recherche, offrendo qualche prospettiva di interpretazione, qualche chiave di lettura sia a chi conosce già l’opera e magari ha voglia di rituffarcisi, sia a chi magari ha sempre avuto timore di cimentarsi con una lettura così impegnativa. L’idea era quella di costruire un percorso mio, interpellando però anche studiose e studiosi, appassionati e scettici… insomma l’idea alla base è che Proust può parlare a chiunque, a chiunque abbia voglia di avvicinarsi a questo libro che cambia la vita.
Qual è l’aspetto che ti ha affascinato maggiormente nella realizzazione di questo podcast?
È stato tutto molto divertente e molto faticoso: l’impresa era ardua, perché il materiale era tantissimo e anche perché volevo assolutamente evitare di fare un lavoro che risultasse didascalico. Volevo che si sentisse la voce di Proust, che ci fosse molto spazio per i testi e le citazioni; che la mia lettura fosse personale ma non soverchiante, e soprattutto, che rimanesse spazio per le interviste, per le voci delle persone che ho interpellato e che molto gentilmente mi hanno concesso il loro tempo. Due cose mi hanno colpita più di tutte: la prima, lo splendore dei testi. Ogni volta che mi trovavo a citare un passaggio avevo la tentazione di prolungare la citazione per pagine e pagine, perché entrare nel testo era come tuffarsi in un laghetto limpido, veramente un’esperienza di bellezza. Ogni volta mi esaltavo, anche in sala di registrazione, per la gioia di poter citare dei passaggi così belli – ovviamente, selezionarli è stato complicatissimo, ma di una complicazione gioiosa. Il secondo aspetto affascinante di questo lavoro è stato assistere alle relazioni “private” dei miei interlocutori con Proust. Ognuno aveva la sua storia da raccontare, il suo segreto, il suo rapporto così personale, così profondo con questo libro incredibile. Era come se parlassimo di un caro amico comune, una cosa che ho trovato commovente.
Il capolavoro di Proust dà sempre l’impressione di una lettura infinita, che presenta continuamente porte che non avevi notato o che non avevi mai aperto e che danno su stanze con altre porte. Che cosa ha scoperto – o riscoperto – della Recherche Ilaria Gaspari affrontando questo lavoro?
Una cosa che sapevo già, ma che mi si è imposta con un’evidenza senza precedenti, è il lato comico della Recherche. Mi ricordavo che facesse ridere; non che facesse così ridere. Ci sono dei passaggi esilaranti, dei personaggi che sfiorano il grottesco e allo stesso tempo riescono a rimanere perfettamente realistici – ma perché anche la realtà, alla fin fine, è grottesca. L’altra cosa, che lavorando al podcast mi si è rivelata e che non avevo forse colto davvero nelle mie letture precedenti, è il senso di sfida continua alla morte che conferisce a questo romanzo immenso, soprattutto nella parte finale, un’energia impressionante, un impennarsi vertiginoso della tensione e dell’amore per la vita. Non l’avevo messo a fuoco, forse al tempo della mia prima lettura ero troppo coinvolta e anche troppo giovane per capirlo, ma questa rilettura che ho fatto per il podcast, procedendo un po’ quasi per correnti carsiche, mi ha permesso di vedere questo aspetto straordinario dell’opera di Proust.
Tra tutte le impressioni che hai ascoltato e raccolto, quale, se c’è, quella che ti ha maggiormente sorpreso o che ti ha svelato qualcosa a cui non avevi pensato?
Molte mi hanno colpita. Per esempio Patrizia Valduga che rilegge la traduzione di Raboni, l’uomo che ama, mentre lui sta morendo. O Antoine Compagnon, uno dei più grandi studiosi di Proust viventi, che si commuove per la morte della nonna e fatica a leggere le pagine delle intermittenze del cuore. O Lorenza Foschini che in viaggio di nozze non riesce a smettere di leggere perché è troppo presa dal Tempo ritrovato… tutte queste relazioni così intime, così personali con il testo, mi hanno incantata. Non c’è stata un’intervista che non mi abbia mostrato qualcosa di nuovo, di personale, di bello.
Ti rubiamo il registratore per qualche istante e ci mettiamo nei tuoi panni: Ilaria Gaspari e Proust, qual è il loro rapporto? Qual è stato il tuo viaggio personale negli anni attraverso Proust?
La mia prima lettura è iniziata al primo anno di università, e anche se fin da subito ho capito di avere a che fare con qualcosa di enorme, con qualcosa che mi avrebbe in qualche modo cambiata (perché era come se ritrovassi, ovviamente in una scala immensa, perfetta, inarrivabile, una serie di ossessioni poetiche che coltivavo anch’io: in particolare il rapporto con l’infanzia, l’ipersensibilità un po’ morbosa, il senso della vita nel tempo), ho avuto qualche battuta d’arresto, fra le fanciulle in fiore e i Guermantes. Poi ho preso la rincorsa e ho letto tutto fino al Tempo ritrovato e mi ricordo che quando ho finito, ho sentito un vuoto immenso. Mi sono detta: e adesso come faccio? E poco dopo ho iniziato a scrivere. Per riempire quel senso di mancanza. Perché secondo me la cosa che distingue la Recherche da molti altri grandissimi romanzi, è il fatto che si tratta di una lettura attiva. Voglio dire: quando leggi, è come se stessi, contemporaneamente, scrivendo. È una cosa molto strana, difficile da spiegare, misteriosa. Ma è una sensazione che ho ogni volta che torno ad aprire il libro. Nel senso che è un libro che parla a delle parti talmente intime e profonde dell’immaginazione, che nella lettura si è partecipi, si collabora con la propria stessa vita. Non so come dirlo altrimenti… Poi per anni ho rimandato il momento della rilettura, finché non ho fatto un viaggio in Normandia e ho avuto fortissima la sensazione di esserci già stata: ma non c’ero mai stata, avevo solo letto Proust che raccontava la Normandia di 100 e rotti anni prima in un modo talmente preciso, che ci ritrovavo quella del XXI secolo, tale e quale. Da lì ho capito che forse era il momento di riprendere la Recherche, di scrivere qualcosa su Proust; e ho scritto quell’articolo che ha fatto sì che mi chiamassero per la prefazione, e poi da cosa è nata cosa.
Al termine del lavoro compiuto, dopo aver ascoltato opinioni di lettori, librai, semplici passanti e intellettuali che con Proust hanno avuto rapporti idilliaci o contrastati, pensi infine che ci sia davvero un’età giusta per leggere Proust?
Non penso che ci sia un’età giusta o più giusta di altre, penso però che come tutti i veri classici anche la Recherche cambi a seconda dell’età in cui la si legge. Letta a vent’anni ti dice una cosa, a trenta un’altra, completamente nuova; e tu ti accorgi, rileggendo, di quante cose in te siano cambiate. È incredibile, è come uno specchio.
In una manciata di parole, perché, secondo te, la Recherche è un romanzo che andrebbe letto?
In realtà io non penso che vada letto per forza. In generale, sono contraria all’idea dei libri “imprescindibili”, semplicemente perché quando andavo a scuola ogni volta che una lettura mi veniva presentata come obbligatoria a me passava subito la voglia. Penso però che non leggerlo, non dargli almeno una possibilità di cambiare il modo di guardare alle cose – al tempo, alle relazioni, all’amore, alla morte – sia un po’ uno spreco. Perché veramente è un libro che ha il potere di rendere più acuto lo sguardo di chi lo legge, e di consolare in una maniera non mielosa, e di far sentire meno incompresi. Una cosa bellissima, secondo me.
laria Gaspari ha studiato filosofia alla Scuola Normale Superiore di Pisa e si è addottorata all'università Paris I Panthéon-Sorbonne con una tesi sullo studio delle passioni nel Seicento. Nel 2015 per Voland è uscito il suo primo romanzo, Etica dell'acquario. Nel 2018, per Sonzogno, Ragioni e sentimenti. L'amore preso con Filosofia. Per Einaudi ha pubblicato Lezioni di felicità. Esercizi filosofici per il buon uso della vita (2019) e Vita segreta delle emozioni (2021), entrambi tradotti in diverse lingue, e Cenerentole e sorellastre. Una botanica della bellezza (2022). Per Perrone, è uscita nel 2022 una guida letteraria, A Berlino - con Ingeborg Bachmann nella città divisa. Collabora con vari giornali e insegna scrittura. Vive tra Roma e Parigi.
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