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BENVENUTO PRIMO. Storia di un'anima vissuta in trasparenza




Editore: Il Canneto Editore

Anno edizione: 2020

Pagine: 128


“ Abito vicino al mare in un grande palazzo costruito nell’Ottocento. È di color mattone ed è maestoso. Ha un immenso parco, con palme, platani e un bel salice piangente.”

“I giorni li chiamano lunedì martedì mercoledì, eccetera eccetera, ma a me sembra abbiano tutti lo stesso nome. Così i mesi e gli anni.”

In un luogo senza tempo, in un tempo senza luoghi. Così inizia e si svolge la vita di Benvenuto Primo, il protagonista del sensibile e profondo romanzo di Andrea Contini, pubblicato per i tipi de Il Canneto. Benvenuto è un essere umano speciale e invisibile ai più, un animo che vive una solitudine che è la sua, ma che leggendo la sua storia, a poco a poco, diventa anche la nostra. Un personaggio indimenticabile, che ti introduce nel suo mondo e ti apre le porte della sua anima e di quella di chi, come lui, vive la vita in trasparenza.


Nato all’interno di un manicomio – questo è il nome comune con cui venivano indicate le strutture psichiatriche prima dell’avvento della legge Basaglia – Benvenuto deve il suo cognome al fatto di essere stato il primo bambino nato in quello strano edificio che contiene strane persone. È cresciuto lì dentro, nello spazio limitato di quelle stanze e del giardino, imparando il viaggio della luce dalla mattina alla sera, dell’avanzare delle stagioni, del percorso mutevole e incomprensibile delle nuvole, in un mondo chiuso dentro ad una palla di vetro in cui ogni gesto si ripete uguale a sé stesso e ogni giorno scivola via senza lasciare un segno.


Se lo spazio è chiuso, il tempo è invece illimitato, dilatato, a volte sconfinato, “ Il tempo qui non è mai arrivato, è per quello che non se ne va”. Il tempo è insignificante, è la polvere chiusa dentro alla clessidra che Benvenuto trova, abbandonata e inutile, e che compie infinite volte lo stesso tragitto, da sopra a sotto, una nevicata incolore che non fa rumore. Lì dentro dove lui vive non serve la misura, perché non c'è nulla da raggiungere, non ci sono obiettivi né traguardi. La clessidra, con il suo moto circolare, ne diventa l'emblema.


Eppure Benvenuto non è un guscio vuoto, un manichino privo di desideri. “Desiderare per me vuol dire andare oltre il cancello. Non ha altri significati. Andare oltre, uscire, vedere, stare lì fuori oltre quel limite.” Lui la vede la vita che scorre oltre il cancello; vede i bambini andare a scuola, giocare, crescere, andare via con il motorino; vede le donne passare con le borse della spesa e le auto, gli autobus, i furgoni, le scie degli aerei che tagliano il cielo. Vede una vita che brulica e si muove in un perenne flusso da cui è escluso e che fa fatica a comprendere, ma che lo affascina proprio perché è un paesaggio dove lui non può muoversi e che non gli appartiene. Lui è il matto, quello da cui stare lontano, quello che deve stare in un mondo apposito, in una solitudine apposita.


“Ci siamo guardati e sfasciati come una caramella”. La solitudine è uno spazio fisico da riempire e quello con cui la riempi si chiama amore. L’unica forma vera d’amore, quella priva di confezione e di etichetta, di avvertenze e di istruzioni, dove non ci sono territori da conquistare o da difendere. Un amore che passa per il corpo e lì trovi la percezione delle mani, della pelle, degli occhi che ti guardano. Benvenuto trova Anna, Anna trova Benvenuto e l’amore è quello che si fa, è il gesto che lo rende vero, non un castello di carta fatto di parole sempre pericolanti e in bilico tra due ego.

Una panchina da dividere, una sigaretta, una nuvola da osservare. L’amore da una forma al tempo e un senso al corpo. E quando Anna se ne va, è il corpo che per primo sente il vuoto, è dentro che si avverte la mancanza. Anna se ne va e con lei la clessidra.


“Ma matti cosa vuol dire?” Dentro la testa di Benvenuto ci sono le stesse domande che ci sono nelle persone che vivono al di là del cancello, solo che il rumore assordante che emette la vita intorno le zittisce. Lui invece vive nel silenzio e le domande le sente, eccome. Sente i suoni di un universo che spesso ci è incomprensibile, che ci parla in una lingua lontana. E allora prova a dipingerlo, prova a comprenderlo attraverso i colori, un alfabeto che gli riesce più facile. La mente di Benvenuto e dei suoi fratelli non è spenta, è una voce tenuta sottovetro, è un volo senza scali dove non ti fanno mai scendere, in cui tutto si osserva da un oblò. Un “dentro” protetto che non preserva dal dolore di sentirsi escluso, additato, scartato. Perché la diversità non ti rende muto, ma ti fa essere come il mare dove “il silenzio […] non esiste, qualcosa si sente sempre”. Per chi ha voglia di ascoltare.


Puoi anche essere matto, ma non sei diverso. Il corpo ti invecchia, ti si corrompe, la malattia ti invade e così fa il dolore fisico. E te ne accorgi. Anche se non sai dare un nome alla dissoluzione, la avverti, ne riconosci i passi, giorno dopo giorno. Quello che non hai, è quello che non hai mai avuto, la dignità di decidere per te, di non guardarti da dietro l'oblò. Di fumarti una sigaretta senza chiedere il permesso. Di avere paura. Di sapere chi sei.

Anche la sua clessidra infine s'incrina e il tempo circolare s'interrompe. Benvenuto va via, in punta di piedi come è arrivato. Lascia la vita, una stanza creduta troppo spesso vuota. Viva invece come un giardino d'autunno spettinato dal vento.


“Eppure quelle foglie che dicono siano morte quando le schiacci parlano ancora”



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