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"Verrà un giorno che anche per noi brillerà il sole." Quarta parte

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    Redazione TheMeltinPop
  • 30 gen 2021
  • Tempo di lettura: 4 min

Dal diario di Michele Lanata, catturato dai tedeschi e fatto prigioniero in un campo di concentramento a Monaco nel 1943


In questa settimana in cui si celebra la Giornata della Memoria, continuiamo con la pubblicazione di stralci tratti dal diario inedito di Michele Lanata, genovese, catturato dai tedeschi nel 1943, fatto prigioniero dapprima in Italia e poi tradotto in un campo di lavoro in Germania nei pressi di Monaco di Baviera.

"Poco fa mentre ero qua dietro a scrivere è entrato improvvisamente il sergente tedesco in baracca e vedendomi scrivere si è insospettito e presimi i fogli li ha portati dall'interprete ove quando ha sentito che si tratta di diario me li ha rilasciati a patto che non parli della vita da prigioniero. Accidenti alla sua ignoranza e a quella della sua gente e di che cosa vuole che parli se non della vita che faccio?"

La scrittura, sia delle lettere rivolte a casa che del diario, è per Michele Lanata una grande forma di conforto, un mezzo per restare agganciato alla realtà, per non perdersi d'animo e non cadere in una spirale di depressione. È anche un modo per fermare sulla carta gli avvenimenti, così come si svolgono, per averne chiare le dinamiche e le ragioni, per comprenderne meglio lo svolgersi. C'è poi in lui un'innata capacità di osservazione e di sintesi, che lo porta a darci un quadro nitido e preciso dei fatti così come delle sensazioni frutto degli anni di prigionia. Leggere queste pagine è per noi la migliore ricostruzione storica possibile, scevra da sentimentalismi o da desiderio di suscitare facili emozioni. Una testimonianza efficace che non possiamo ritrovare nei libri di storia e che è altrettanto importante per capire quanto accaduto.


"All'una circa è suonato l'allarme ed è durato fino alle 3 e 15 del mattino. Questo a quanto si è potuto desumere stamattina girando sui camion per la città è stato il più duro subito da Monaco in questa guerra. Hanno sganciato moltissime migliaia di bombe incendiarie e spezzoni che hanno parzialmente incendiato la città. Moltissime case sono senza tetto ed altrettante crollate, sono trascorse 24 ore dal fattaccio che ancora brillano moltissimi incendi. Tutto il centro è stato colpito senza alcuna discriminazione, una decina di belle chiese, fabbriche, case, ecc.
Oggi ci hanno portati tutti a lavorare nelle case colpite e pericolanti a fare i traslochi di mobili e tutto il salvabile. Bisogna però ammirare questo popolo davanti a un disastro simile, non si perdono di coraggio, tutti si aiutano, si vedono ragazzi, vecchi, donne, ragazze queste ultime in abiti maschili lavorano ininterrottamente tutto il giorno. Questa è però una giornata che per Monaco rimarrà indimenticabile [...]"

Dai racconti di Michele Lanata emerge anche il senso di paura e distruzione che la guerra nelle sue manifestazioni più violente porta con sé. I bombardamenti, come anche anche nelle maggiori città italiane, avvenivano ovviamente anche sul campo di battaglia tedesco, lasciando macerie e distruzione ovunque, colpendo non solo obiettivi militari ma anche civili. Lanata, con sguardo lucido e obiettivo, senza farsi coinvolgere da sentimenti di rabbia e di livore, descrive la coraggiosa e e solidale reazione della popolazione tedesca ai bombardamenti, restituendoci con le sue parole esseri umani simili a tanti altri nelle stesse condizioni. E riportandoci un dolore tutto umano e fuori dalle logiche faziose della guerra nel vedere andare distrutto ciò che l'uomo, con speranza e buona volontà, aveva costruito.


"Ho letto poco fa La Voce della Patria, quindicinale stampato a Berlino appositamente per noi internati, ed avrebbe il compito a quanto dicono di confortarci e darci notizie della nostra patria ed inoltre di darci un aiuto oltre che morale pure materiale quest'ultimo con invio di doni di materia alimentare, di libri, tabacco, ecc. Però tutte queste belle cose alla realtà dei fatti sono chimeriche e menzognere. Questo giornaletto non si perita altro che di materia propagandistica o di filo fascismo esortandoci al volontariato. Di notizie dall'Italia non fa altro che dire che laggiù non continuano altro che una feroce repressione di individui nient'altro rei che di non abbracciare questo partito. Però facendo attenzione a questi scritti si vede che questi episodi non sono singoli bensì si tratta di bande perfettamente organizzate il cui scopo si prefigge di sabotare questo nuovo, anzi vecchio regime."

Per i prigionieri di guerra era prevista una forte azione di propaganda fascista, volta a convincerli che il loro sacrificio era fatto in nome della Patria, raccontando una solidità del regime ormai molto lontana dal vero. Nonostante questo, i prigionieri non si lasciano abbindolare, comprendendo che i fatti reali sono ben diversi da quelli descritti e che in Italia si sta affrontando una vera e propria resistenza civile, via via sempre più efficace ed organizzata, contro "questo nuovo, anzi vecchio regime". Vediamo qui molto bene lo strumento della propaganda in azione, con tutto il corredo di notizie costruite ad arte per dipingere qualcosa che non esiste, per deformare i fatti per il vantaggio di pochi. Sono quelle che oggi chiameremmo fake news e che Michele chiama con un nome che rende nella nostra lingua davvero la loro portata, menzogne.


"L'italiano che in qualunque momento della sua vita sia in momenti di gioia o di dolore ha sempre cantato adesso è ammutolito e diventato insensibile a tutto.
Noi a differenza di tutti gli altri prigionieri siamo i più poveri, sia materialmente e ancor di più moralmente, perché i primi hanno combattuto per una causa e presi sul campo di battaglia colle armi in pugno si sono rassegnati a questa vita, mentre noi adesso ci troviamo prigionieri di quelli che (con cui, ndr) fino a ieri per tre anni abbiamo combattuto."

I prigionieri italiani sentono di essere prigionieri per una causa che a loro non appartiene. Al contrario degli altri internati politici, che sono stati catturati durante azioni di guerra, con le armi in pugno, gli italiani dell'esercito si sono arresi a quegli stessi soldati al fianco dei quali fino a prima dell'8 settembre del '43 avevano combattuto. I nostri soldati hanno vissuto con vergogna questa loro condizione, rendendosi conto fino in fondo di quanto non fossero che pedine in mano a forze maligne e spregiudicate, pronte a sacrificarli per interessi molto lontani dalle loro vite.
















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