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NUDA PROPRIETÁ

di Antonella Sica


Foto di Kevin McIver da Pixabay


“E alla fine, Francesco si arrabbia così tanto che bestemmia!” Maria racconta cos’è successo nel reality della sera precedente. Giovanni è seduto sulla sua poltrona, le mani poggiate sul bastone. Cerca di sorreggere la testa per seguire con lo sguardo la donna che si muove energica per la stanza. “Capisci? Bestemmia! Per questo lo cacciano dal programma.” Maria ha indossato i suoi vestiti migliori. È domenica, il suo giorno libero.

“Dove vai oggi?”

“Andiamo in spiaggia. È tornata mia amica da Polonia; abita nel mio paese.” Maria finisce di sistemarsi i capelli davanti allo specchio dell’ingresso e si siede di fronte a lui, lanciando un’occhiata all’orologio da polso.

“Cosa aspetti?” dice Giovanni abbozzando un sorriso “Va', è ora. Altrimenti perdi l’autobus.”

“Prima deve arrivare tuo figlio. Non voglio lasciarti solo.”

“Non ti preoccupare. Non tarderà. Cosa vuoi che mi succeda!”

Maria esita. “Ti porto in bagno prima di uscire?”

“Grazie Maria, va pure.”

Giovanni accompagna la frase con un gesto della mano ossuta, sottratta a fatica dal bastone. Maria si alza, lo guarda un’ultima volta per assicurarsi che tutto in lui sia in ordine e si avvia verso la porta di casa. “Ciao signor Giovanni, ci vediamo stasera.”

Giovanni rimane solo nel vecchio appartamento. Tutto è sempre uguale da anni, anche se il tempo non ha risparmiato l’aspetto delle cose, esattamente come ha fatto con lui. L’artrosi gli ha forgiato un corpo nuovo, curvo, disarmonico, che ha il pavimento come unico orizzonte.

Pensando di fargli piacere, Maria ha lasciato il televisore acceso. Di solito, lui va a dormire dopo il primo telegiornale della sera. Maria si preoccupa di tutte le sue necessità, lo aiuta a coricarsi e trascorre la serata fino a notte inoltrata a guardare i programmi. La mattina dopo, mentre riordina la casa, gli racconta tutto quello che ha visto la sera prima. D’altronde, pensa Giovanni, trascorre tutta la giornata insieme a un vecchio che parla poco.

Al rumore di una chiave che gira nella toppa, Giovanni riemerge da un leggero sonno senza sogni.

Fruscii di vestiti, rumore di sacchetti di carta. Due persone entrano in casa sussurrando. Un profumo da donna, intenso e chiassoso, gli anticipa la vista di sua nuora che entra per prima nel soggiorno.

“Papà!” esclama, “siamo arrivati.” Con il suo modo di muoversi ha occupato lo spazio vitale della stanza, sottraendogli la voglia di rispondere. Clarissa si sfila uno spolverino beige e lo appoggia con cura sullo schienale di una sedia.

“Allora, papà, come stai?” chiede con esasperante vitalità. Si siede davanti a lui.

“Bene” risponde laconico. Clarissa appoggia una mano inanellata sulla sua. È un gesto studiato che gli fa percepire il disgusto della donna per quel contatto di un’intimità mai esistita. “Ti ho portato i pansoti con il sugo di noci che ti piacciono tanto. Sei contento?”

“Maria ha preparato per tutti”.

“Non ti preoccupare papà! Maria non si offenderà se per una volta non mangi le sue minestre di patate.” Clarissa si alza per andare in cucina a sistemare le cose che ha portato per il pranzo.

Solo in quel momento Giovanni si accorge che suo figlio è nella stanza, appoggiato allo stipite della porta. Non lo vede da almeno due mesi. Ha l’aria stanca, appesantita.

“Ciao, papà”

“Ciao, Riccardo”

“È un po’ che non ci vediamo. Ti trovi bene con la polacca?” “Maria. Si chiama Maria.” Precisa Giovanni “Sì, è una brava donna.”

Riccardo avverte un leggero risentimento nelle parole del padre e lo guarda con più interesse.

“Ti sarai mica innamorato, vero?” dice, come se parlasse ad un bambino delle elementari alle prese con la prima cotta. “Clarissa, credo che papà si sia innamorato della polacca.”

Clarissa rientra nella stanza e si avvicina al marito.

“Cosa hai detto?”

“Papà ha preso una cotta per la badante”

“Ma figurati Ric! Un uomo che poteva avere le più belle donne ai suoi piedi. Vero papà?”

“Non dite sciocchezze” dice con fastidio Giovanni “Ho solo detto che si chiama Maria!”

Riccardo guarda il padre con sfida.

“Scusa, papà” dice con un tono velatamente polemico “Siccome non ti ho quasi mai sentito chiamare un dipendente per nome o ancora meno dimostrare considerazione per le persone che lavoravano da noi a casa, pensavo che verso… Maria… tu stessi usando un riguardo particolare.”

“Non vorrete mica mettervi a litigare” dice Clarissa “siamo venuti qui per trascorrere una giornata piacevole.”

Giovanni guarda gli occhi del figlio, sono pieni di rancore. Una cosa che in tanti anni non è cambiata. Il risentimento del figlio. Immutato dagli anni dell’adolescenza. Per questo prova pena per lui. Però ha ragione. L’uomo che era trent’anni fa non avrebbe degnato di uno sguardo una donna come Maria, non avrebbe ascoltato le sue storie, non si sarebbe commosso ascoltando i racconti delle sue sventure.

Giovanni infilza un pansoto. Riccardo segue con lo sguardo il lento tragitto della forchetta verso la bocca, mal sopportando l’enfasi che il padre involontariamente imprime ai gesti ordinari del nutrimento. Clarissa sospira annoiata e si versa un bicchiere di vino.

“Vado fuori a fumare una sigaretta, ti dispiace?” Con un gesto della testa Giovanni gli fa segno di andare. Riccardo esce sul balcone del soggiorno, seguito dalla moglie.

Attraverso i vetri, Giovanni li vede fumare nervosamente, discutendo di qualcosa. Clarissa travolge il marito con il suo corpo, lo costringe immobile in un angolo della ringhiera, lo sguardo schiacciato al suolo.

Foto di inmorino da Pixabay

“Papà…Svegliati, papà”

Giovanni si è di nuovo appisolato sulla poltrona con la bocca leggermente aperta. Le rughe che gli solcano il mento come una fine ragnatela sono lucide di bava. Riccardo prende un fazzoletto e deterge il volto del padre, cercando di reprimere una certa ripugnanza.

“Papà, devi prendere le gocce.”

Riccardo tiene in mano un memorandum che gli ha lasciato Maria.

“Papà, svegliati!”

Giovanni apre gli occhi. L’attività della digestione gli porta via le poche energie che ha a sua disposizione e ogni giorno, dopo pranzo, si assopisce suo malgrado sulla poltrona.

Mentre il padre sorbisce la medicina con l’aiuto di una cannuccia, Riccardo lo guarda cercando il coraggio per parlargli.

“Papà…io…ho bisogno del tuo aiuto.”

Giovanni porge il bicchiere al figlio e cerca di sistemarsi meglio sulla poltrona per poterlo ascoltare.

Riccardo non sa da dove cominciare, si tormenta un lungo pelo sul lobo dell’orecchio. Un dolore improvviso distoglie l’attenzione di Giovanni dal figlio.

“Devo andare” dice.

Il suo volto è contratto.

Riccardo lo guarda sorpreso. “Cosa? Dove devi andare?”

“Devo andare in bagno. Aiutami!”

Riccardo cerca di capire dove mettere le mani per sollevare il corpo dalla poltrona. Il padre gli fa segno di avvicinarsi e lui si piega, porgendogli il braccio. Distribuendo lo sforzo fra il bastone e il braccio del figlio, Giovanni si alza dalla poltrona. Mentre cammina, concentra tutti i suoi sforzi per rendere precisi ed efficaci i suoi movimenti, cercando di trattenere il bisogno. Arrivati in posizione davanti alla tazza, Giovanni perde la calma.

“Aiutami.” Riccardo cerca di tirargli giù i pantaloni ma le dita ansiose rallentano l’operazione.

“Sbrigati…Sbrigati!” Dopo qualche secondo il bottone esce dall’asola e Riccardo riesce ad abbassare i pantaloni e le mutande del padre e a farlo sedere sulla tazza. Appena sente il fresco rassicurante della ceramica sulla pelle, Giovanni rilascia lo sfintere. Riccardo rimane lì, inebetito, a guardare il padre che geme e si libera, curvo su se stesso, stringendo entrambi i pugni sotto il mento e pensa che fra qualche ora tutto questo sarà finito e potrà tornare a casa sua, dove la vita è accettabile e qualche volta anche piacevole.

“Ho finito.” Riccardo avvolge un' abbondante razione di carta igienica attorno alla mano e la porge al padre. Giovanni alza gli occhi verso di lui. “Non ce la faccio.” Riccardo sposta lo sguardo verso il punto della tazza dove si trova la parte da pulire. Il fatto che sia nascosta aumenta il suo disgusto. Dopo qualche secondo si fa coraggio e, con una mano che sente quasi paralizzata, pulisce il padre. In quel momento Giovanni pensa a Maria che lo lava con la stessa concreta attenzione che si riserva ai bambini. A volte, quando i dolori rendono la doccia un supplizio, cerca di consolarlo cantando dolcemente antiche filastrocche polacche.

“Lavati le mani, papà.”

Riccardo versa del sapone liquido sulle mani del padre e sulle sue, poi comincia a strofinarsi con energia, lavando un dito dopo l’altro, ispezionando le unghie, mettendo così in evidenza l’approssimazione dei gesti di Giovanni che, nonostante gli sforzi, non è ancora riuscito a diluire il sapone e a spargerlo sulle mani. Riccardo sospira poi prende di malagrazia le mani del padre fra le sue e comincia a sfregarle con forza.

“Basta” dice Giovanni “Sono stanco. Voglio tornare sulla poltrona.”

“Papà devo parlarti.”

Giovanni lo guarda in attesa.

“Papà, ho bisogno di soldi. Ho fatto degli acquisti sbagliati per il negozio e ho chiesto un prestito a delle persone che adesso mi stanno letteralmente strozzando…”

La voce di Riccardo è piagnucolosa.

“Non ce la faccio più, papà, mi devi aiutare.”

“Ti ho già dato tutto quello che avevo...”

Riccardo si tormenta le mani.

“Ma…Hai la casa, ancora.”

Giovanni ha la bocca secca “Ma se vendo la casa dove vado?”

“Ho pensato che potremmo venderla in nuda proprietà. Prendiamo i soldi prima e chi compra ne entra in possesso quando tu…Insomma...”

Riccardo si alza di scatto dalla sedia, prende una sigaretta dal pacchetto e se la infila in bocca senza accenderla. Ha la camicia segnata da un vistoso alone di sudore. “Certo, la cifra che otterremo è molto inferiore a quella che potremmo ottenere se la casa fosse libera ma mi permetterebbe di uscire da questo casino.”

Giovanni guarda il figlio. Potrebbe raccontare ogni centimetro di quel corpo, i nei, le piccole cicatrici dell’infanzia. Potrebbe raccontare tutto quello che di suo figlio è dentro di lui; ma con grande stupore, guardandolo in quel preciso momento, si rende conto di non riconoscere quell’uomo in sovrappeso, con i capelli tutti grigi e lo sguardo arreso che gli sta davanti. Riccardo si getta esausto su una sedia nascondendo la testa fra le braccia.

“Allora? perché non dici niente?” Vicino alla porta che comunica con la cucina, Giovanni intravede l’ombra di Clarissa che sta origliando. “D’accordo” dice “Vendiamo la casa. Ma ora lasciami riposare. Ho bisogno di riposare.”

Riccardo si alza ed esce sul balcone per fumare. Giovanni guarda la sagoma del figlio che comincia a confondersi nella luce del crepuscolo e si addormenta nel tempo di un sospiro.

“È andato tutto bene, Maria. Papà è stato bravissimo”

La porta di casa è aperta. Nel dormiveglia Giovanni sente la voce di Clarissa, leggermente amplificata dall’eco prodotto nella tromba delle scale del palazzo.

“Per la prossima settimana chiama quella tua amica, come al solito. Ti faremo sapere quando torniamo a trovare papà”

“D’accordo, signora” “Adesso sta dormendo. Salutacelo tu, quando si sveglia. Non abbiamo voluto disturbarlo” dice Clarissa.

Riccardo tace.

La porta si chiude. Giovanni sente che Maria si sta togliendo la giacca con i movimenti calmi e rilassati di chi si sente a casa e si rende conto che per la prima volta in quella giornata che gli è sembrata incredibilmente lunga, si sente bene.

Maria entra nel soggiorno e si siede davanti a lui, poggiando una mano fresca sulla sua.

“Sono tornata, Signor Giovanni” sussurra “Sono tornata.”



Antonella Sica è nata a Genova. Dal 1985 al 1991 ha lavorato come attrice con la compagnia La chiave di Campopisano e con la compagnia teatrale Bloko. Molto attiva in ambito cinematografico, tra le altre cose, ha diretto e realizzato cortometraggi di fiction e documentari, selezionati e premiati in diversi festival e rassegne e trasmessi da Canale 5, RAITRE, RAIDUE e ha curato rassegne dedicate alla cinematografia di vari Paesi e regioni del mondo. Nel 1997 la troviamo tra i fondatori dell’Associazione Culturale Cinematografica Daunbailò e dal 1998 al 2014 ha codiretto il Genova Film Festival. È autrice di due raccolte di poesie Fragile al mondo (Prospero , 2015) e La memoria nel corpo (Rayuela Edizioni , 2016), con le quali ha ottenuto molti premi e riconoscimenti. 



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