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Il Kintsugi e l’arte della fragilità

Immagine del redattore: Redazione TheMeltinPop Redazione TheMeltinPop


Photo by SIMON LEE on Unsplash

di Alessia Spinola


Il «kintsugi» è la pratica giapponese che consiste nel ricongiungere con dell’oro le crepature di un oggetto di ceramica che si è rotto.

Oggigiorno noi occidentali siamo abituati a gettare un oggetto quando questo si frantuma o semplicemente si crepa e non ci rendiamo conto che, invece, c’è un’alternativa: ricomporlo, esaltando la bellezza della fragilità.


Con la tecnica del kintsugi si creano delle vere e proprie opere d’arte, ognuna diversa dall’altra, e le crepature dorate raccontano tutte delle storie, esattamente come le ferite che ognuno di noi ha nel cuore.

Siamo poi così diversi dalla ceramica che quando cade si rompe? Io credo proprio di no.


La società in cui viviamo ci ha insegnato che nella vita bisogna nascondere il proprio dolore, che un cuore spezzato va tenuto al riparo da sguardi indiscreti e, soprattutto, che non si deve mostrarsi vulnerabili per nessuna ragione al mondo. Basti pensare che in Occidente ripariamo gli oggetti con la colla trasparente per celarne le fratture: questa è la perfetta metafora di quello che accade con i sentimenti.


Personalmente, però, penso che non ci sia nulla di più sbagliato. Con il trascorrere degli anni ho imparato che a tenersi tutto dentro non ci si guadagna nulla, bisogna esternare le proprie emozioni e quando c’è qualcosa che ci fa stare male è importante farlo presente perché non c’è niente di più tossico che crescere in un terreno ostile. Quando una persona o una situazione non ci fa sentire più bene e non ci nutre più, dobbiamo andarcene. Non siamo alberi, non abbiamo radici piantate, perciò è fondamentale praticare il verbo andare via, allontanarsi da tutto ciò che nuoce all’anima e partire. Non a caso dal verbo partire deriva «spartire», ovvero dividere, ed è quello che dobbiamo fare noi: separare ciò che ci fa bene da quello che ci fa male.


Siamo stati abituati a credere che essere fragili significhi essere deboli, quando invece sono proprio le nostre debolezze a renderci ciò che siamo e a distinguerci da tutti gli altri.

Nella vita il dolore è inevitabile, tutti prima o poi soffriamo, non si può sfuggire ad esso, siamo però noi a decidere quanto questo influenzerà la nostra vita: possiamo farci logorare dalla sofferenza, oppure abbracciarla e trarne dei preziosi insegnamenti.

Inoltre, senza la tristezza non sapremmo riconoscere la felicità.


Di debolezze ne ho sempre avute tante, per alcuni troppe, ma fanno parte di me. Diverse volte nella vita mi sono ritrovata a desiderare una pelle più spessa, con la mia si sente praticamente tutto, ma alla fine ho capito che le emozioni che tanto volevo reprimere in realtà sono proprio quelle che mi hanno resa più forte e mi hanno insegnato che la vita non dev’essere insapore.


Ho nel petto un cuore che si è rotto numerose volte, era così a pezzi che a un certo punto ho avuto la tentazione di gettarlo via, proprio come un oggetto, ma poi ho pensato al kintsugi, a quei meravigliosi vasi con le venature d’oro, e ho deciso di ricomporlo, questa volta, però, senza colla trasparente, ma esaltando le sue cicatrici e mettendoci sopra un bel cartello con scritto: “attenzione: fragile”.


Perciò ricopritevi d’oro, mostrate al mondo le vostre debolezze e accogliete il dolore come un vecchio amico, perché sarà proprio lui a darvi le lezioni più importanti della vostra vita e a rendervi persone uniche al mondo.

Insomma, SIATE ARTE!

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