top of page
  • Immagine del redattoreRedazione TheMeltinPop

Un giorno d'inverno


Anapeson. Icona di Rosanna Maffeo

di Fiorenza Pistocchi


Bastia di Mondovì (CN) - Chiesa di San Fiorenzo


Faceva davvero freddo, ma a loro non pesava affatto. Dalle finestre entrava un chiarore spettrale portato da un po' di nevischio, indeciso se trasformarsi in falde copiose di neve o sparire del tutto, ma nessuno, lì dentro, avrebbe ormai notato le differenze di luce che ogni stagione generava: il nitore azzurrino della primavera, il fulgore dorato dell'estate, la morbida luminosità rossiccia dell'autunno. Per loro erano solo attimi di un tempo dilatato, che volgeva verso l'infinito, nel quale si perdevano pensieri astratti, sentimenti sublimi che non conservavano alcuna coscienza del sé. Dalle pareti della chiesa, dove da più di cinquecento anni le loro immagini erano state fissate dalla perizia di pittori dall'animo semplice, e da dove sarebbero state cancellate soltanto dallo scorrere impietoso del tempo o dall'incuria dell'uomo, ripetevano ciascuno il proprio gesto, la propria orazione, il proprio martirio, la propria benedizione. Solo i colori delle vesti, dei visi e degli sfondi erano leggermente offuscati, ma le immagini li ritraevano composti, fermi, solenni, maestosi. C'erano, a dire il vero, delle scene animate da una dinamicità più terrena, soprattutto quelle che rappresentavano l'inferno. Non le avevano mai considerate importanti: per loro, rivolti senza alcun dubbio al paradiso, erano solo la descrizione della miseria umana, dalla quale erano stati capaci di riscattarsi per sempre. Non li turbavano neppure le occasioni solenni in cui la chiesa veniva utilizzata dai fedeli o le visite di qualche turista curioso di arte sacra. Erano mormorii lontani, brusii paragonabili al ronzare di una mosca, che si perdevano nell'aria rarefatta e immobile del luogo.

Tuttavia, quel giorno accadde qualcosa di nuovo.


Era una bella giornata: gelida, asciutta, una di quelle che possono capitare spesso nelle contrade delle Langhe, d'inverno. Il nevischio aveva smesso di turbinare, ma aveva lasciato il posto a un vento tagliente, che faceva respirare senza produrre nemmeno un fiato visibile, in cui l'alito usciva dal corpo già freddo e si confondeva con l'aria. Il giovane frate era preso dalla preghiera silenziosa che sempre recitava mentre era in cammino. All'inizio non si accorse di nulla, poi piano piano un lamento si fece strada nella sua mente: debole, lontano, intermittente. Si concentrò, corrugò la fronte, volse lo sguardo intorno cercando di scoprire da quale direzione provenisse. La individuò. Si mosse per raggiungere quel suono, che mentre si avvicinava gli faceva percepire la disperazione della sofferenza, il terrore dell’abbandono e la solitudine infinita di chi non ha nessuno.


Ne fu turbato. Si avvicinò di corsa al fagotto di stracci poggiato sugli scalini che conducevano all’ingresso della chiesa. Lo prese, ma gli stracci cascavano da tutte le parti e l’essere che vi era racchiuso rischiava di cadere a sua volta.


Istintivamente le sue braccia si aprirono e circondarono il piccolo in un abbraccio. Il bimbo smise di piangere. Il frate aprì con una mano il groviglio di stoffe e finalmente ne vide il volto: tondo, arrossato dal pianto e dal freddo, con una cuffietta bianca dalla quale uscivano corti ciuffi di capelli corvini. Gli occhi di un colore indefinibile, spalancati, ancora pieni di lacrime ma vivaci, lo scrutavano.


Qualcosa nell'aspetto del frate rinfrancò il bambino, forse un’espressione di tenerezza, una dolcezza ancora da fanciullo, dovuta alla giovane età. Il piccolo si trasfigurò in un sorriso fiducioso, rivelando la bocca senza denti. Le mani e tutto il corpo si mossero in uno spasimo di contentezza.


Un brivido percorse anche il corpo del frate. Tenne stretto a sé il bambino mentre la mente era in subbuglio: come fare per salvarlo, a chi affidarlo? Erano momenti duri: l'egoismo e l'insensibilità attanagliavano la gente, nelle case del piccolo paese non sempre c’era il calore dell'accoglienza e della compassione, tutti badavano a se stessi e il mondo si era ripiegato sui beni materiali. Non poteva nemmeno tenerlo: in convento, a Ceva, ci stava poco e i fratelli erano occupati giorno e notte ad aiutare i malati e gli umili. Come avrebbero potuto crescerlo quegli uomini ormai vecchi, vicini alla fine della vita, tutti tesi al sacrificio? Ci volevano una madre e un padre per quel piccolo abbandonato.


Stettero così per un po’, l'uno a pensare, l’altro a godere del calore di quella stretta. Poi il giovane si alzò risoluto: era la vigilia di Natale, doveva fare in fretta. Spalancò il pesante portale di legno della chiesa, posò il bimbo sul pavimento, corse a cercare degli sterpi e al ritorno accese un fuoco al centro della chiesa. Il piccolo, al riparo dal vento, si era tranquillizzato e dormiva. Uscì di nuovo e tornò con un asino e un bue trovati in una stalla poco lontano, ai quali diede un po’ di paglia raccattata dalla loro mangiatoia. Gli animali istintivamente si accosciarono vicino al bambino. Il bue si mise a ruminare e l’asino appoggiò il muso a terra, placido.


Il trambusto creato dal pianto acuto del bambino, dalla porta che veniva spalancata con forza provocando un rumore che era riecheggiato più volte nell'ambiente vuoto, dalla luce bianca che era penetrata come una lama nell'oscura pace della chiesa, dalla fiamma che si era alzata crepitando, proprio al centro del pavimento, dal rumore degli zoccoli e dal fiato degli animali furono percepiti dapprima soltanto dall'immagine di san Francesco.


La parte più profonda dei suoi occhi si volse verso quella scena. Nulla si mosse nel suo viso, ma un vago ricordo si risvegliò in lui. Nella sua mente? Ma poteva avere una mente un dipinto su un muro? Eppure qualcosa in lui si era destato. Forse era una traccia impercettibile del profumo della vita che proveniva dal fagotto di stracci?


Per un prodigio inaspettato anche gli altri santi raffigurati negli affreschi sentirono un brivido mistico e le loro entità si misero in comunicazione tra loro in un modo misterioso, che le parole che seguono possono solo suggerire, non certo spiegare.


«Che succede? Un incendio? Questi muri non avranno scampo, sono vecchi...» disse Fiorenzo, preoccupato per la sorte della chiesa a lui dedicata.

«Non è un incendio, è solo un fuocherello, ho visto ben altro io» rispose Lorenzo.

«C'è un bambino piccolissimo, l'ho sentito piangere, avrà fame e freddo» aggiunse Margherita di Antiochia.

«Potrebbe morire, povero piccolo, ha bisogno di coperte, è stato abbandonato» furono i commenti di Maurizio, Gerolamo, Bartolomeo, Caterina d'Alessandria.


«Vediamo che cosa succede» disse Maria, dalla Natività al centro dell'abside, per quietare quel mormorio di santi in ansia. Anche il bimbo che aveva in braccio ebbe un fremito di curiosità infantile e di inquietudine per la sorte di un suo simile: «Mamma!».

«Tranquillo Gesù, non preoccuparti».


Il giovane frate, intanto, si muoveva frenetico per il paese. Bussava a ogni porta, parlava, raccontava, poi tornava alla chiesa, controllava se il fuocherello era ancora acceso, vi aggiungeva dei rami. Era quasi sera, il vento si era rafforzato ululando. L’attività incessante del pomeriggio e le emozioni lo avevano spossato. Sedette a riposare sui gradini della chiesa, in attesa.

Quando scorse il movimento in fondo alla strada era ormai buio. Alcune persone si stavano avvicinando. Riuscì a mettere a fuoco la composizione del corteo improvvisato, che procedeva alla luce di alcune pile elettriche, fiaccole e candele: un uomo con un cesto, una donna con un secchio, un’altra con della legna, dei bambini che correvano verso di lui, un uomo con un grosso involto sulla testa e molte altre persone, tutti sorridenti. Chiudeva il gruppo una coppia che si teneva per mano: lei giovanissima, minuta, magra, lui abbastanza robusto, più maturo della ragazza, con la barba. Si ricordò di averlo visto diverse volte, in paese, nella bottega del falegname, dove il ragazzo faceva l'apprendista. Si erano sposati da qualche settimana e abitavano in un piccolo alloggio, al piano terra, nella casa dei genitori dello sposo.



Tutti quelli che avevano in mano qualcosa lo deposero, una volta entrati in chiesa. Allora vide i doni: acqua, pane, latte, una culla di legno, delle coperte, delle tutine da neonato, biberon, biscotti. Non disse nulla ma in cuor suo ringraziò il cielo per la generosità di quella gente. Il gruppo si dispose in silenzio attorno al piccolo addormentato.


Poi, con un gesto gentile e deciso al tempo stesso, la giovane prese in braccio il piccino e rivolse uno sguardo interrogativo al compagno, che sorrise, facendo cenno di sì. Tutti compresero il significato di quel gesto: il bimbo avrebbe avuto una famiglia.


Il giovane frate li contemplava. Quei ragazzi che si amavano, con una decisione evidente, istintiva, generosa e senza ripensamenti, sceglievano di essere genitori di un bimbo sconosciuto e abbandonato. C'era ancora speranza per l'umanità offesa e snaturata da un mondo che voleva far credere che l'egoismo, l'indifferenza e l'insensibilità fossero dei valori. Ringraziò il cielo, li benedisse e li lasciò per tornare, nel buio della notte, al suo convento.


Fiorenzo, dal muro, sorrise dentro di sé e non poté fare a meno di stuzzicare Francesco: «Guarda! Non fosti tu il primo a inventare il presepe vivente?».

«Certo, e ne vado fiero! Quel fraticello ha sicuramente letto e studiato i miei scritti e quelli dei miei biografi. Bravo ragazzo!».

«Mamma, sono felice!» disse Gesù.

«Sì piccolo mio, anch'io».


Fu un coro non percepibile dai presenti, quello che si levò dai dipinti dei santi, grati per la soluzione di un problema che li aveva strappati alle loro sonnolente visioni e meditazioni.


Il gruppo di paesani si mosse intorno alla coppia di giovani, come a proteggerli. La chiesa si svuotò nuovamente e l'ultimo chiuse alle sue spalle il pesante portale di legno. Rimanevano soltanto, sul pavimento, le braci rosse del fuocherello, ancora accese, ma non era stato di sicuro il loro modesto calore a produrre una prodigiosa trasformazione: la patina del tempo, che in più di cinquecento anni aveva offuscato i colori degli affreschi, nel corso della giornata si era dissolta lentamente, le vesti dipinte avevano riacquistato le loro belle tinte originarie, il blu di lapislazzuli era più vivo, la doratura delle aureole risplendeva, il verde e il giallo avevano aumentato il contrasto cromatico, tutto pareva animato da una luce di vita.

«Mi sento meglio» disse Francesco, e se qualcuno fosse stato lì avrebbe forse intravisto uno scintillio inspiegabile negli occhi del dipinto.

«Anch'io» disse Fiorenzo, soddisfatto del rinnovato splendore del suo piccolo mondo.

«Ricordiamoci di essere stati umani, cari figli, è una gran cosa» disse Maria.


0 commenti

Post recenti

Mostra tutti

La finestra

bottom of page