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  • Immagine del redattoreArianna Destito

Chi non sferruzza in compagnia o è un ladro o è una spia

di Ilaria Scarioni

Se siete tra quelli che credono che fare la maglia sia fuori moda e che solo delle vecchie prefiche lamentose si cimentino nell’antica e sublime arte della calzetta, è perché non avete mai partecipato a uno Stitch’ n bitch come si deve. E, purtroppo per voi, non sapete che vi state perdendo!

Stitch’ n bitch, poco letteralmente punti e chiacchiere, è il termine che venne usato negli Usa per indicare i gruppi donne che durante la Seconda Guerra Mondiale iniziarono a riunirsi per fare la maglia, confezionando guanti, berretti o calze per i soldati al fronte.

Da allora i gruppi di Stitch ‘n bitch non hanno mai smesso di formarsi, attraversando più o meno indenni le diverse stagioni del secolo scorso e di quello attuale, in quasi tutte le città, le più grandi certamente, è possibile trovare uno o più d’uno di questi gruppi di Knit-lovers o calzettare per dirla senza inglesismi.

I gruppi di maglia si caratterizzano per essere gruppi aperti a tutti quelli che sono interessati al lavoro a maglia, esperti o principianti che siano, la trasmissione del sapere è infatti orizzontale e avviene direttamente tra le partecipanti. L’adesione è gratuita o vincolata a una piccola quota associativa di solito per rimborsare le spese del locale che si prende in affitto, se si decide di non ritrovarsi in un bar.

Ecco, questa è la descrizione più o meno asettica, e di certo poco frizzante dei gruppi di maglia, ora, quindi, veniamo alla parte entusiasmante.

Intanto le partecipanti, sono la parte migliore dei gruppi, strambe, emotivamente instabili e tendenti alla maniacalità, trovarsi a proprio agio se si è un po’ freak è facilissimo.

Precisazione noiosa: dico le partecipanti perché nel nostro paese gli uomini knitters sono una rarità e subiscono spesso una serie di pregiudizi se si avvicinano ai ferri. Questa è una assoluta distorsione storica perché il lavoro a maglia prima della Rivoluzione industriale era appannaggio degli uomini; è stato l’avvento della tessitura industriale a rendere il lavoro a maglia un ’attività prettamente donnesca e casalinga, fine dello spiegone.

Le knitters appartengono a classi sociali diverse, l’eterogeneità è uno dei punti di forza dei gruppi, hanno lavori – lavorano e parecchio, non sono come le vorrebbe un certo antiquato pregiudizio casalinghe annoiate – tra i più disparati e se sono casalinghe solitamente sono molto, molto, attive. Possono avere figli e mariti, essere single, o poliamorose, hanno spesso interessi frastagliati, ma in comune hanno tutte l’ossessione per il gomitolo, o meglio per le matasse.

Parlano tantissimo e hanno due toni di voce alto e altissimo, gli stich si caratterizzano per una caciara esagerata e per pochi - bisogna essere onesti – punti lavorati, direbbe mia nonna, calzettara Doc, tri don e un coo d’aj e il merca’ l’è fai ( tre donne e una testa d’aglio, in questo caso un gomitolo, e il mercato è fatto ).

L’ossessione per il gomitolo è una patologia che colpisce la maggior parte, direi un buon 90% delle knitters, o calzettare, purtroppo non è ancora riconosciuta e codificata dal DSM V, non si possono pertanto chiedere esenzioni o facilitazioni di sorta.

Si manifesta con la tendenza spiccata e incoercibile all’acquisto non ragionato e assolutamente irrazionale di quantità di lana nella forma di gomitoli e matasse sproporzionato all’aspettativa di vita di una donna in salute occidentale.

Le knitters più fini - e più patologiche - preferiscono la matassa che si sa è più bella, quelle più prosaiche e meno invalidate dalla suddetta entità nosologica, come la sottoscritta, scelgono invece il gomitolo. La matassa bella è bella, ma ha da esse’ smatassata attività estremamente noiosa, a meno che non si abbia un uomo, un parente o una amica a cui far pagare qualche ingiustizia subita, ecco lì che smatassare assume il valore di restituzione karmica di una scassamento di cabasisi pregresso: il colpevole trasformato in arcolaio umano può finalmente espiare i suoi peccati.

Questo disturbo poi, assolutamente non criticato dalla knitter di turno, prevede anche la negazione o la rimozione, nei casi più gravi, della questione gomitoli. Nessuna calzettara, anche se messa alle strette, ammetterà mai di avere accumulato lana sufficiente a sfornare maglioni per almeno tre generazioni di nipoti e bisnipoti, parenti e amici, volendo potrebbe rivestire di caldi maglioncini anche il giornalaio, il macellaio e persino il tatuatore e tutti i suoi affini.

La knitter D.O.C. negherà sempre la quantità che tiene nascosta in casa: sì, perché, miei cari lettori, la knitter è una mentitrice astutissima e una occultatrice seriale di gomitoli, davanti alla quale la Pina di Fantozzi con i suoi sfilatini nascosti nel secretaire e sotto l’ottomana impallidisce e diventa una dilettante.

Le knitters nascondono gomitoli ovunque: nel freezer, tra le porzioni surgelate di lasagne, sotto il divano, nella cuccia del cane che inspiegabilmente per lui si trova sloggiato sulla graniglia gelida della sala da pranzo, nella cassetta degli attrezzi al posto del trapano, come imbottitura ai cuscini. Le mani di fata moderne nascondono i gomitoli acquistati spasmodicamente soprattutto a sé stesse per auto assolversi e per felicemente comprarne ancora degli altri.

Sono anche spaventatissime dal cambiamento climatico, e se alcune preferiscono negarlo continuando a scegliere lana spessa che andrebbe bene per un esquimese e non per il clima temperato che abbiamo qui da noi, la maggior parte va in ambasce e vede questo modificarsi delle stagioni, il gelo che cede il posto al caldo, come una iattura insostenibile. Passi la deforestazione, passi l’innalzamento dei mari e lo scioglimento dei ghiacciai che tanto se non sei Meissner mica ci vai, passi pure l’estinzione della specie umana come fu per i Dodo, ma l’impossibilità di sferruzzare della calda e soffice lana e dover magari passare a del rigido lino o a del cotonaccio questo no, questo è davvero insostenibile.

Le calzettare, quindi, accumulano lana, ne comprano sempre, ovunque vadano c’è un negozio di lana da scovare una pecora da tosare, e hanno un unico pensiero dominante che non è l’amore come per Giacomino ma è sfornare maglioni! Ci sarà un maglione nuovo da iniziare, uno scialle da terminare e migliaia di incompiuti finché ci sarà aria nei nostri polmoni!

I gruppi di maglia però non sono solo questo, e non è soltanto per nutrire le mie parti ossessivo compulsive che incontro queste donne bizzarre; se a prima vista, quello che appare sono donne, gomitoli e tisane, un occhio più attento vedrebbe che mentre ciascuna di noi è intenta a lavorare il suo proprio manufatto tutte insieme intessiamo una rete invisibile, ma estremamente resistente, di relazioni e amicizie, perché oltre alle tisane c’è il prosecco e oltre il prosecco c’è il negroni e ci sono le storie – ancora una volta le storie - le confidenze che ci scambiamo tra un punto e l’altro, tra una pausa caffè e un’altra ci sono le nostre vite.

Se non è più l’epoca in cui le donne come mia nonna si ritrovavano nelle stalle o nelle grandi cucine oscurate in attesa che il Pippo – che non era un amico, ma il cacciabombardiere degli alleati – passasse e fare la calza diventava un modo per non pensare, un antidoto alla paura, anche ora ritrovarsi è un modo per non avere paura, sentirsi meno sole, far passare il dolore di una amore finito, o l’attesa infinita dell’arrivo di un figlio, o condividere una gioia segreta.

Le nostre vite diverse si intrecciano, e tutte insieme diventiamo decisamente più forti.

Questa è la vera forza degli Stitch’n Bitch, e poi, sì, i gomitoli e il prosecco.

Se non siete ladri, se non siete spie, se sapete già fare la maglia o volete imparare o solo offrivi come arcolaio umano, ci trovate, più o meno una volta al mese capitanate da Annalisa Dione, somma sacerdotessa del gomitolo e maestra della scuola di Maglia dell’orsa in vico San Cristoforo 9- 11 r a Genova, presso l’Associazione Fili trame e colori.

Per avere informazioni precise sulle date e sugli orari iscrivetevi al gruppo

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